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Dalle doglie

di Adielle
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Pubblicato il 16/02/2018 23:37:19

 

 

Vi ricompenserò con cose semplici e banali

con una pineta dei miei neuroni.

Potrebbe essere o anche non essere. Cose molto serie:

Canzonette mortali di Giovanni Raboni.

Il ritmo degli a capo è una falange armata dei polmoni

uno stacco di coscia di cavallerizza sotto i quaranta.

Ed infine accade, finalmente accade, infine finalmente accade:

accavalla le gambe. Solo stando con te, una certa latitanza gagliarda

sforna cuori di plastica, aspetta in fu di che botta,

l' altra metà della cenere, uno alla sigaretta,

due soffiata dalle ali del vento

e così certe labbra che si posano fanno contatto e una luce si genera

come fosse una locandina accesa fuori dal cinema,

col pienone al botteghino, oriundo destino di pellicola fantasma,

quanto destino per uno sfondo fantastico!

Ma il pronome relativo del mio ego infastidito riceve solo frasi di rito

il sabato in piazza del villaggio globale.

Crescere, io nettezza urbana, parassita, tu Kamasutra lunare, fata.

Porziuncola del mio ultimo respiro, stratagemma postumo

per non sentirmi solo, piccola viandante del cosmo

ci ritroveremo alla fine del mondo, che non tarda ad arrivare,

istante per istante, immagine dopo immagine, 

solo il tempo d' invecchiare come genere umano,

organismo d' avventura, costola d' Adamo, spinta dorsale, colpo di reni.

La fatidica domanda è: come lascio che la relazione mi condizioni?

Indipendentemente da quello che sia il suo intento, che ne abbia uno o più di uno, nessuno o meno di nessuno, ben al di là di cosa io possa

ritenere vero al riguardo, all' atto pratico, a cosa ho bisogno di credere

per vivere meglio, per essere il più felice possibile, fosse anche impossibile esserlo fino in fondo, perfino a volerlo con tutte le proprie forze allenate per farlo, come fossero tendini d' Achille e non talloni,

mio nonno, mio figlio, in un sol boccone, unico, solo?

Se stai pensando a questo mentre torni a casa, ne sei in preda, è meglio

che sia un cucciolo di cane affettuoso a riceverti, appena apri la porta,

di grossa taglia. Ti senti in pari con il mondo, nonostante le traverse,

giù al campo. Il bene del mondo quanto spazio occupa,

del mio spazio vitale? Fuori uso, in ritardo sul vuoto.

Tutto questo spazio siderale che riempie gli abissi dei tuoi occhi,

fino ai cardini e poi che fai? Nemmeno mi guardi mentre mi parli?

Che per la misericordia di una frazione di secondo.

Civetta, coriandola, allodola. E' questo falso amore che tiene a galla

le mie vene, certe notti di creta in cui il pensiero vaga.

Come immagini bene, sono sempre io dall' altra parte dell' anima.

A discapito della verità? Ma qual è la verità

se non una versione dei fatti che vince a maggioranza

il cruciverba del tempo, una relativizzazione di massima

che assurge a morale della storia, cui ognuno può sentirsi in diritto

di non arrendersi, comunque patologica, a meno che non si acceda

ad uno sguardo dall' alto che dovremmo poterci permettere,

una volta ogni tanto, da qualsiasi distanza si parta.

Bomba on o non bomba on, neon, macchine volanti, deterrenti ai ritardi

lanciafiamme elettrici, contapassi connessi, costatazioni amichevoli,

salite di rango, discese di frodo, convenevoli ma si sta senza parlare

come sugli alberi le foglie, per intere settimane, in clonazioni di tempo

e di spazio: la voglia di vivere prenderà la forma di sane abitudini

o di speranza vana nel baratro? La scontata vigilia di un carnevale,

di un mondiale senza più l' Italia.

La stanchezza che ti prende dopo aver fatto un buon lavoro,

la dimenticheremo sugli scali, sui moli, alla fermata del tram.

E così le nostre stanchezze diventeranno di una noia mortale.

Eppure vivere non vuol dire lavorare, vorrebbe che fossero sinonimi

chi ha il potere di ordinare ad ognuno cosa fare.

Pubblicità, applausi registrati, fischi, delirio sugli spalti,

accademia delle fauci, lungomari di allunaggi in braci

con granelli di sabbia vetrificati in specchietti per le allodole

e rasoi da barba affilati sulla spiaggia da domatrici cubane di tabacco,

venerate come gatte nell' isola dei gatti dai pochi apolidi di stanza

o di passaggio...

... Con quali occhi adesso guardo la solita strada? Il grano da crescere,

i campi d' arare.  Se fossero i tuoi occhi, a quale distanza avresti il mare e la montagna?  Due colpi di tosse, la punteggiatura madre

del concerto di un respiro serale, mentre si dorme che sogni si fanno?

E il mondo come appare calandosi nel baratro? E accarezzando

le scapole alle nuvole?  Se avessi i miei occhi

di quando ancora non ero malato, potrei scegliere cosa diventare

assecondando le voglie che non avrei avuto ancora?

La demografia delle mie ipotesi aumenta in stato di grazia, è florida

di unicorni agli incroci delle strade a serramanico.

All' ingresso dei negozi adescano i passanti con versi

da spendere dentro in articoli di primo soccorso.

Tipo un' incudine e un martello o un piede di porco disincarnato a morte

in caso di guerra atomica, apocalisse zombie o altra fine del mondo.

Cosmo, sussurrami all' orecchio un secondo, giusto il tempo 

di ricordarmi dei momenti felici, trascorsi con gioia

tra una vecchiaia e l' altra, quando ancora avevo la saggezza

di farmi da parte, pur di provare a vivere certi giorni di gloria

in qualità di testimone, con un programma sul futuro

che avesse più di due pagine, da dare alle fiamme

insieme a tutti gli altri comunque, per timore di un freddo più grande

che non tarderà ad arrivare. Allora chi saprà gestire quel predicare

che ti resta in braccio, tra parole sempre più care e carezze fantasma?

Coincidenze fantastiche, la cui trama è atomica, nel senso di nucleare

inerente al centro, punto di fusione, un palco da cui seminare il panico

che hai da vendere. Ma forse è meglio non cedere

all' impulso di credere a quello a cui non fa bene credere

e il cambiamento a volte è deleterio a una condizione di equilbrio 

faticosamente raggiunta ma non è detto che l' equilibrio

sia il colpo di grazia, la remissione dei peccati.

Con lento incedere si provvede alla resa dei conti, la fretta

è una questione di fede da consumarsi a previa distanza dagli atti.

In un vuoto di felicità presi coscienza dell' aria, della canzone

evocante un artista, uno stato d' animo e poche immagini

regolate da un unico destino di parole.

La discesa in qualche sorta di baratro a portata di mano

ha allungato le unghie alle dita della tua anima, amico mio?

Tanto che grattar via la superficie delle cose in uno scambio

di frizioni e affilature, è diventato un gioco da ragazzi?

Da ragazzi scorbutici scevri di fronzoli? Che bevono e fumano forte?

Lascia che la questione, se anche un piccolo dolore ci educhi,

tenga conto delle minoranze etniche, tra le rime del pensiero

e le ciglia del mattino, delle spine di certe rose mai donate,

delle serrande chiuse in faccia alle onde del destino, a scongiurare

che si bagnino le signorine maliziose, dalle caviglie seminude,

le passanti di turno, fino alla rotatoria delle ginocchia, che si sbucciano

come un frutto acerbo, sul selciato su cui atterrano,

alla fine di ogni cammino, che imponga una preghiera disperata.

Come quella che non scampa ad una morte annunciata,

promemoria che la vita va pregata dalle doglie.

 

 

 


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