Pubblicato il 28/01/2011 08:43:47
Riecheggia di perduti passi la desolata stazione di Oswiecim, in Polonia, di lacrime e sofferenza lastricata.
Nell’interminabile notte d’inverno dal lugubre viaggio di solo andata, non tornava più nessuno.
Destinazione Auschwitz, partenza dai sotterranei del binario 21.
Con ali di fuoco e cenere vola la Memoria nel fremito dell’emozione, Al dolore eterno Dell’ Olocausto, all’annientamento di milioni di persone.
Auschwitz, porta dell’inferno, di lapidi ebraiche lastricate le strade. Di ghiaccio, camini e filo spinato Golgota ed Ade.
L’ultimo viaggio riecheggia nello sferragliare sui binari. Caronte urla in lingua sconosciuta, infera e temuta.
Selva dolente di visi d’agnelli semiti sconosciuti e ancor più cari verso il nulla deportati alla mattanza.
Anni amari, nel fumo dei lager milioni di fiordalisi inceneriti.
Petali di cenere, soffiava il vento di ponente nelle infernali sere all’ombra dei camini.
Il crepuscolo in agonia gemente si specchiava nel riverbero pallido dei volti di vecchi e bambini in fila per la selezione.
Contro il reticolato le ali spezzate agonizzava ogni illusione.
Shoah la pagina tristemente nota nei passi disperati, nel gelo del campo fra la mota.
Il libro nero di filo spinato cinto in cui nessun nome manca. Piange l’alba e il cielo di lacrime diamantine la tenebra imbianca.
S’apre l’ultimo vagone piombato del silenzio reo, dell’oblio complice del rimosso passato.
E in silenzio muto recito il Kaddish, l’ antica preghiera dei miei avi
per il tragico commiato d’intere generazioni che nel cuore mio orfano del mio nome semita perduto ho suggellato.
Triste violino muto fra ingialliti spartiti kletzmer e polvere ed oblio in una soffitta del ghetto dimenticato.
Kaddish, la preghiera ebraica peri morti.
Marina Pacifici
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