Pubblicato il 01/02/2011 14:47:48
Nel manto brumoso Trevi era avvolta in una quiete celestiale, allegro fumo di camini scoppiettanti accesi, profumo di querce ingemmate di rugiada e foglie morte.
Fui di nuovo presso l’alta muraglia del convento francescano. Il rimpianto il cuore indifeso artiglia.
Lungo la passeggiata di San Martino all’ombra delle querce secolari Fra le carezze del vento Inspiravo la dolcezza del mattino In attimi infinitamente chiari.
Il cuore sussurrava il tuo nome diletto. D’un tratto con agile passo per le antiche scale, oltre l’arco varcai il ghetto.
L’ ancestrale scalinata m’accolse con l’abbraccio ad una figlia dopo la diaspora ritrovata. Nel ghetto una pace irreale
Ecco nel vicolo di pietra grigia la casa dei nonni. In lacrime di gioia il dolore celato si svela nella danza opale dell’alba di cinigia.
Bussai al portone di fulvo ulivo dal tempo liso. M’aprì la zia Elvisia Con il suo dolce sorriso: “Marina! Finalmente sei tornata! T’aspettavamo…. Entra, la cena è quasi pronta!”.
E alla soave sua voce nell’anima il rimpianto del suo materno bacio perduto in orme di nostalgia lascia l’impronta.
Accogliente il tepore di quiete serena. Nella fragranza di legna bruciata non mi sentivo più sola, i miei cari eran tutti all’opera di buona lena.
La nonna Rina intenta a ricamare, la zia Elvisia affaccendata a cucinare, il nonno Antonio il ciocco ardente del camino a rintuzzare.
E al centro della stanza la tua immagine cara che mai smetterò d’amare e nel mio cuore continua a palpitare.
Eri in piedi di fronte al camino, ordinando ciocchi di legna. Fumando la pipa sorridevi:
“Bambina mia, bentornata!”. E nel fremito dell’emozione volai come malinconica capinera nel nido fra le tue braccia, indimenticabile mio rifugio nella sera.
Nel paterno tuo abbraccio viola a primavera ero rinata.
E poi fra sorrisi ed abbracci tutta la famiglia a tavola intorno al rurale desco.
La candida tovaglia di Fiandra, i tuoi occhi di dorato autunno, di nuovo insieme Priamo e Cassandra.
Fuori, sui tetti d’antica pietra come carezza lieve scendeva gentile la prima neve.
Dolce incanto d’un sogno troppo breve.
Qui nella casa della mia desolazione al termine del nulla quotidiano mi perdo nella dolcezza di quel sogno lontano.
Nella stanza mi guardo smarrita intorno. Spento il focolare, fredda l’insapore cena alla tavola vuota.
Nel sogno Trevi, la nostra casa e Tu mia stella perduta nel mio cuore ferito continuate a brillare.
Da voi all’antica dimora paterna nel volo dell’emozione anelo presto di tornare.
Sognando il dolce ritorno mi guardo mesta intorno…. E mi ritrovo sola.
Marina Pacifici
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