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Ogni lettore, quando legge, legge se stesso. L'opera dello scrittore è soltanto una specie di strumento ottico che egli offre al lettore per permettergli di discernere quello che, senza libro, non avrebbe forse visto in se stesso. (da "Il tempo ritrovato" - Marcel Proust)

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Da Parigi all’Isola d’Elba

Narrativa

Ignazio Apolloni
Edizioni Arianna

Recensione di Giuliano Brenna
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Pubblicato il 06/11/2015 12:00:00

 

Devo ammettere che da sempre amo i libri illustrati, da bambino amavo vedere ritratti i personaggi delle favole con quei disegni colorati e traboccanti dolcezza che si usavano a quei tempi. La passione mi è rimasta da allora; nei libri da “adulti” le illustrazioni non ci sono praticamente mai, talvolta, in qualche volume, per un desideri di originalità o motivi legati alla trama, vengono inseriti disegni che ammiro e guardo più volte: leggo più volentieri il testo. Che gioia, quindi, nello scoprire questo bellissimo volume, dall’insolito e maestoso formato, fatto per la maggior parte da foto, cartoline, riproduzioni di biglietti pasquali, natalizi e ogni altro tipo di missiva le poste abbiano permesso di spedire dal 1968 in poi. La prima delle lettere porta la data del 24 marzo 1968: in questa, il mittente, lamenta che, per i quattro anni precedenti, il destinatario della missiva non ha dato notizie di sé. La cosa potrebbe fare un po’ sorridere ai tempi di whattsapp in cui, se si nota che il destinatario ha letto il nostro messaggio, dopo dieci secondi già scalpitiamo perché vorremmo avere risposta. Ma nel libro di Apolloni si parla di altri tempi, di un tempo perduto che riaffiora dalle pieghe della memoria in tutta la sua forma tangibile di ricordo. Dunque non un tovagliolo dalla particolare inamidatura, o un cozzare di cucchiaio su di una tazza, ma proprio la materia viva del ricordo, parole, sì ma anche fotografie, cartoline e immagini che ricostruiscono una lunga storia di amore – forse – sicuramente un legame epistolare di natura letteraria. A tratti l’autore, Ignazio Apolloni, che nelle missive diventa amichevolmente Giany, poiché chi le invia è di lingua francese, abita in Francia e si chiama – ohibò – Gilberte, sembra sottrarsi al rapporto epistolare, ma poi sembra che il legame riprenda vigore, alimentato da ambo le parti. Talvolta Giany si nega alle sporadiche visite della simpatica francese, talaltra vi si abbandona con dolcezza e determinazione, il carteggio prosegue sino alla morte della donna, e la improvvisa mancanza fa scattare l’impellenza della pubblicazione. In un’ottica proustiana il tempo non basta quasi più, il tempo dei vivi sembra affievolirsi, la memoria ridona le sue immagini, ora tocca all’uomo farsi artista per immortalare la sua vita in un’opera d’arte che la strappi all’insipienza di un quotidiano stiracchiato e ormai all’ombra della morte. E l’ombra della morte, o del declino, è richiamata proprio dal titolo, “Da Parigi all’Isola d’Elba”: se è vero che all’Elba avvenne l’incontro fatale fra Giany e la sua Gilberte, è anche vero che lo stesso viaggio fu fatale all’Imperatore Bonaparte, che lì, e poi nella più remota Sant’Elena, vide la fine della sua grandezza. Salvo poi essere riabilitato nello sfarzo d’oro zecchino del Dôme des Invalides. Forse Apolloni vuole sottolineare un abdicare a una vita precedente, gloriosa ma effimera, per affidarsi a un’altra, dorata e di ben altro sfarzo, addirittura eterna. È un abdicare dalle cose del mondo, è strappare un sentimento al momentaneo presente per affidarlo all’altare dell’imperitura gloria letteraria.

Questa la parte più cospicua del volume, che si apre con una breve e deliziosa descrizione di come inizia l’idillio fra Apolloni e la sua interlocutrice; il volume si compone anche di altre sezioni apparentemente disgiunte fra loro o, perlomeno, legate da un filo sottile, sebbene proprio questa disgiunzione, la mancanza di unitarietà tanto cercata è proprio la cifra del libro, che vuole essere un fulgido esempio di disunitarietà dell’arte, tema molto caro all’autore. Mi sembra di intravvedere tra le pagine proprio il cercare di disomogeneizzare le forme d’arte ricomponendole in modo casuale o arbitrario, richiamando su carta l’ormai imperante stile tipico di chi fruisce della lettura su Internet. Il tema si apre a ventaglio, da una riga di una lettera si accede alle foto, alle cartoline, il passaggio di una lettera si schiude agli occhi del lettore con delle immagini d’epoca. Dopo quella che appare una specie di introduzione, si passa a quello che è più un racconto che riprende il titolo dell’intera raccolta e sottolinea il destino da esiliato, evidenziato dalla destinazione dell’isola toscana di cui dicevo. Ed è un esilio tra amanti, in cui la passione letteraria e l’inventare storie insieme, non necessariamente cela una passione nella vita reale, ma per due menti, infervorate dai libri, anche un volontario confino, se fatto insieme, è un atto quasi d’amore. Anche se foriero di una sorta di eutanasia sentimentale, o un semplice tornare a rincantucciarsi in solitudine in un bar a sorseggiare un infinito caffè, guatando le passanti mentre un occhio vaga tra le  miserie mortali e le grandezze letterarie.

 

Proseguendo nel volume troviamo due scritti sull’autore, un saggio di Jean Fracchiolla, e la trascrizione di un intervento di Raffaele La Capria. Entrambi sul romanzo “Gilberte”, scritto da Apolloni nel 1994. Libro che in qualche modo si ricollega all’epistolario di cui sto parlando, e che in qualche modo ne spiega la funzione e la genesi, svelando parti del pensiero dell’autore. Inoltre, anche i saggi introduttivi a Gilberte, esplicano vieppiù la vena creativa di Apolloni, e molto bene si ricollegano a questo bel volume. Tant’è vero che La Capria, riguardo al romanzo dice: È uno scrittore, come è stato detto, che non ama il centro ma l'eccentricità e dunque la frantumazione, il non-sense, la digressione e così via. Insomma lo avete capito già, lui è uno scrittore sperimentale nel senso più vero della parola perché può dire di sé quel che diceva il nostro Giambattista Vico "conosco facendo" anzi nel caso suo sarebbe meglio dire "mi conosco facendo". Cioè man mano che lui scrive, si definisce, sa chi è, si scopre, lui insomma si conosce scrivendo i suoi libri autoreferenziali ed avvolgenti, omninglobanti come questo metaromanzo intitolato Gilberte che se dovessi riassumere e dire in due parole di che si tratta mi troverei in forte imbarazzo perché è difficile sintetizzarlo. Diciamo che si tratta di un viaggio, di un viaggio in cui ricorre in varie accezioni e con vari cognomi - il nome di Gilberte; così come con varie accezioni cioè con vari cognomi ricorrono e vengono menzionati molte celebrità, attori cinematografici, scrittori ecc... Diciamo ancora che questa Gilberte viene continuamente inseguita in varie città del mondo e in vari continenti da un io narrante. Si nota che le definizioni potrebbero sovrapporsi per alcuni versi, se è vero che Gilberte delle epistole porta sempre lo stesso cognome, c’è un costante inseguimento di Giany, che vedete come ha cambiato nome, anche se poi avrà solo delle inziali, poi il titolo accademico, e così via; si fa inseguire per il mondo, si nega, si disvela, sembrerebbe che dopo aver inseguito Gilberte, si faccia inseguire a sua volta. E attraverso i due brevi saggi, la nota iniziale, esplicativa del titolo e del racconto di cui parlerò tra poco, Apolloni, sperimenta, introduce il concetto di meta-libro e attraverso queste voci, la diversità degli stili, dei mezzi espressivi, sperimenta per incontrare sé steso e dell’incontro rende partecipe il lettore che resta ammirato di fronte alla velocità – in senso marinettiano – del libro e del pensiero di Giany. L’ultima sezione di cui parlo è quella che inizia a pagina 29 e si fonde con l’epistolario per immagini e porta il titolo, chi l’avrebbe mai pensato, di “Lettera a Marcel Proust”. Il piccolo Marcel evocato, richiamato, accennato, cui si allude comunque quando in un libro appare il nome Gilberte. L’autore, in un dialogo con Proust, ne ripercorri passi, con aria assolutamente scanzonata, ma ne riporta una delusione. I turisti in canottiera non sembra abbiano rispetto per la magia del Grand Hotel di Cabourg, della Normandia incantata ormai restano solo boutiques di grandi firme e così via. Ma quel che lega Marcel a ciascuno che ami la sua opera, è il fatto che essa è comunque custodita in fondo al cuore. Così Apolloni vaga fra negozi di antiquariato, spiagge assolate, eccetera, in un incessante dialogo in cui interroga Marcel del perché di alcune sue scelte. Finendo con la finta mancanza di comprensione a dirci qualcosa di profondo e rimasto in ombra fra le pagine della Recherche. Salvo poi finire con un omaggio allo sfortunato amore del Narratore de LaRecherche per Albertine, segno che in fondo in fondo, nel proprio cuore, un proustiano, anche se impolverato e stanco per un improbabile viaggio in Normandia, con mezzi non del tutto ortodossi, conserva per Marcel l’angolo più dolce e caldo.

 

 

Per un approfondimento sull'autore Ignazio Apolloni

 


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