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Sophia de Mello Breyner Andresen

Argomento: Intervista

Testo proposto da LaRecherche.it

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Pubblicato il 19/11/2008 18:09:06

 

Incontro con Sophia de Mello Breyner Andresen
“Centro Internazionale Studenti Giorgio La Pira”, Firenze, 6 maggio 1997


Maurizio Certini:

Ringraziamo Sophia di essere presente qui oggi, la biografia di Sophia è nota, è noto come con Giovanni abbiamo avuto l’onore di conoscerla ed essere suoi ospiti a Lisbona nella sua casa, invitati da lei stessa per farle conoscere meglio Heleno, l’ispirazione profonda della sua poesia e della sua vita di cristiano, ispirazione che Heleno trovava in un grande personaggio dei nostri tempi, Chiara Lubich, che rappresenta nel nostro mondo l’anelito all’unità.
Vorrei cominciare con una citazione di un poeta, Stefan George, il quale dice: -“Nessuna cosa sia dove la parola manca”. Nella società dei consumi, che è la nostra società, le prime ad essere consumate sono le parole, c’è una inflazione di parole, che porta ad un silenzio che non è ascolto, ma “non comunicazione”, un silenzio che non è custodia delle parole ma bensì loro dissipazione, dimenticanza, il loro oblio, così perdiamo la nostra comunicazione con le cose e non sapendo più dire il nome vero delle cose perdiamo il significato stesso, e le cose che non si possono dire diventano una folla estranea di oggetti, in un mondo in cui non si può vivere. Così la parola che diviene inflazionata è seccata, inaridita. Io credo che il poeta, e con lui ogni uomo che è “essere capace di parola”, ha il compito di risvegliare le parole, di recuperare il senso creativo e sociale. La parola serve per la comunicazione, per la relazione, serve per fare memoria, per ricordare l’antico ma anche per dire il nuovo, c’è un uso sovversivo, rivoluzionario della parola, e Sophia è un forte rappresentante di questo. Sophia è stata ad un certo punto della sua vita, negli anni ‘60, deputato alla Costituente del Portogallo, ha lavorato molto durante il periodo della dittatura, i suoi libri erano all’indice, ha subito molte perquisizioni, dopo la rivoluzione gli è stato chiesto di diventare Ministro della Cultura, presa un po’ di sorpresa ha detto inizialmente di sì e poi non ha dormito tutta la notte, il giorno dopo passando per un quartiere povero, un bambino l’ha chiamata e lei gli ha chiesto se la conoscesse, il bambino ha risposto che la conosceva perché stavano leggendo un suo libro a scuola, allora Sophia ha capito che la sua vocazione, il suo impegno era quello della scrittura e non quello della politica, che vedeva totalizzante, e così ha detto no a questo incarico che volevano assegnarle. Leggo da questo libretto: (...)


Giovanni Avogadri:

Come diceva Maurizio abbiamo avuto questo grande piacere di essere a Lisbona, ed in quella occasione abbiamo detto a Sophia, vieni a dirci qualcosa, e lei ha risposto, no, non posso venire perché poi mi chiedono che cosa è la poesia e non so che cosa rispondere. Allora, siccome con alcuni di noi Heleno è stato un po’ un tramite tra te e noi, già abbiamo un po’ conosciuto la tua poesia, a me sembra la cosa migliore non tanto commentare, ma per coloro che non conoscessero abbastanza la poesia di Sophia, leggere due poesie che a noi sembrano centrali, importanti. Sophia, vanno bene queste due? (Sophia annuisce).
Voi sapete come Sophia è stata importante nel cammino di Heleno come uomo, come intellettuale e anche come persona, in un certo senso Heleno ci diceva sempre che aveva trovato nella poesia di Sophia la dimensione del “divino celebrato nel terrestre” come Sophia dice in una sua poesia e questa dimensione della vita noi l’abbiamo trovata in questa poesia, che non ha bisogno di nessun commento, ve la leggo e basta: (A Creta)
Nel rapporto durato diversi anni che Heleno ha stabilito con la poesia di Sophia e nella sua ricerca, che adesso costituisce una voluminosa tesi per la cui pubblicazione stiamo lavorando, una tesi immensa che speriamo possa dare un contributo alla conoscenza della poesia di Sophia, a noi pare che questa non è una poesia qualsiasi, ma che ha da dire qualcosa su problemi fondamentali, sulla dimensione del sacro nel nostro mondo: Heleno ha trovato in Sophia una sintesi tra la dimensione dell’immanenza, della divinità delle cose ed il cristianesimo, il Dio “trascendente”, ed è questa una dimensione che è profondissima nella poesia di Sophia, in un certo senso meno evidente della dimensione “greca”, ma molto presente nel cuore della poesia di Sophia. Heleno ci diceva sempre dell’importanza di un poema dove ritorna lo spazio mitico di Creta. (...)


Maurizio Certini:

Io vorrei aggiungere che Sophia ha cinque figli, questa dimensione di poesia è quotidiana e passa attraverso la vita semplice della famiglia, della casa, non è separata da tutto il resto. Mi veniva in mente che Sophia intitolerà questo libretto di Heleno “Le ombre di Olinda”, indica una dimensione di dolore, sempre presente in Heleno, che era un aspetto, una chiave per la resurrezione, e mi veniva in mente come le ombre dicono la luce, portano alla luce. Grazie Sophia!


Sophia de Mello:

Io ricevo molte telefonate che mi rendono furiosa, giacché se sto troppo al telefono poi non ho tempo per scrivere; ma un giorno ha telefonato una persona sconosciuta, che era Heleno. Dopo il primo momento ho sentito una voce così simpatica che non ho avuto il coraggio di rispondere un po’ bruscamente come mi accade in casi simili! Io sento questo uso del telefono spesso come una “violenza” del mondo moderno nei confronti della persona, la gente vuole da te firme sui libri, non so io cosa, ma io rispondo sempre che ciò che io ho fatto è nei miei libri, non nella mia persona. A quella prima telefonata risposi di avere molto da fare, e gli chiesi di telefonare la settimana seguente. Heleno ha richiamato un’altra volta ed io gli ho risposto nello stesso modo, che avevo molto da fare, che non era la settimana giusta, e gli ho chiesto di richiamare un’altra volta; a quel punto sono rimasta un po’ scioccata dalla pazienza che lui dimostrava, ed ho pensato che non avrebbe più telefonato. Ma, invece, telefonò per la terza volta, ed a quel punto gli dissi di venire a casa. È venuto, ha parlato molto della mia poesia, io non sapevo chi fosse, e mi sono detta: -“Sarà forse un prete?”, lui ha parlato con molta insistenza del lato religioso della mia poesia, paragonandola a Rilke, già il Vescovo di Porto aveva messo in evidenza questo aspetto a proposito dei miei “Racconti Esemplari”. Ma quando Heleno è andato via io mi sono detta: - “Quest’uomo è venuto a dirmi qualcosa di molto importante”.
Heleno era sempre molto preoccupato con lo stato della nostra civilizzazione, ed in questi ultimi anni mi sembra che le cose vadano ancora peggio. Il consumismo sta trasformando l’uomo in un modo orribile, le idee migliori di questa epoca, la democrazia, l’uguaglianza dei diritti, il suffragio universale, tutto sta dando risultati negativi.
C’è una parte del mio paese, al sud, che era molto bella, con città bellissime, pulitissime, in cui si poteva mangiare sulla strada, adesso sono sporche, piene di grattacieli. La gente era così onesta che una volta io persi la chiave di casa ed abbiamo vissuto tutti i mesi dell’estate senza la chiave, lasciando la porta aperta. Adesso ciò è impossibile, nella casa si devono mettere le sbarre alle finestre. Tutto è cambiato. Quando dico “il sindaco di quella città è un brigante” mi sento rispondere che però guadagna molti voti, oppure se dico allo stesso sindaco “guarda quanto il turismo ha trasformato la nostra città in un posto orribile lui mi risponde che ciò porta molti soldi. La gente che abita lì ha perso tutto e non capisce che cosa ha perso. Negli autobus si vedono persone che magari guadagnano di più ma non possono permettersi la casa. Ancora, pur vivendo di fronte all’oceano la gente non compra più il pesce fresco, perché non può’ più permetterselo, e mangia il pesce congelato. Molte volte ho pensato se non è possibile creare una “cultura della frugalità”, non di miseria, ma di frugalità e dare alle persone ciò che è importante per vivere meglio.
Se qualcuno chiede ad un poeta perché scrive, una buona risposta per me sarebbe:” Scrivo per vivere meglio”. Che vuol dire vivere in un rapporto migliore con le cose, vedo le persone che cercano “qualcosa” nel comprare, forse perché sono inquiete, insoddisfatte. In questo senso io credo nel valore educativo della poesia e dell’arte. (...)
Questa situazione mi ricorda una storia narrata da un gesuita che era in Brasile nel secolo diciassettesimo. Un giorno egli fece un viaggio da un convento ad un altro, e per qualche ragione andava con molta fretta. Assieme a lui andavano diversi indios. Una mattina gli indios dissero che non avrebbero continuato il viaggio, alla richiesta del perché da parte del padre, essi risposero che a causa della fretta con cui avevano viaggiato le loro anime erano rimaste indietro, e perciò non potevano continuare senza le loro anime. E questo è un po’ quello che è successo nella nostra civiltà, le persone corrono sempre in fretta.
In uno dei miei primi poemi (Sinal de Ti) ho posto un confine nitido tra poesia e religione, ma l’incontro con Heleno mi ha fatto ri-pensare questo problema, questo confine. Il punto è che ci sono “metodi” nella poesia così come nella vita spirituale, come l’attenzione, l’ascolto, la gratuità. Una forma che trovo ben espressa in una definizione della poesia che dà Jorge de Sena, poeta portoghese (la poesia è) “Una fedeltà radicale alla responsabilità di essere al mondo”. Ciò che avviene è che questo metodo di ascolto, di fedeltà può portare tutti gli uomini alla stessa anima.


Alessandro Cecchi:

Nella sua poesia ricorre la Grecia, che è forse la terra in cui il Sacro si è avvicinato di più agli uomini, inoltre Lei l’altra sera ci diceva che occorrerebbe educare i bambini alla poesia, alla musica, alla ginnastica, la Grecia quindi come un ideale storico, perciò Le chiedo se la poesia può essere il tramite, oggi, perché sia possibile una esperienza simile del Sacro, riportare il Sacro nel mondo?


Sophia de Mello:

Io credo di sì, non è forse vero che sempre la poesia ha portato il Sacro? Io penso che il Magnificat è il più bel poema che esiste. E poi la Bibbia, che ha portato il Sacro in tutte le culture. La poesia religiosa egiziana, siriaca, caldea, quella della preistoria, di cui non ci rimasto lo scritto. Ma certamente l’uomo della preistoria cantava e danzava.


Zogo, scultore africano:

Mi è piaciuto molto tutto quello che lei ha detto. Vorrei sapere se lei ha mai scritto una poesia sull’Africa, visto che il suo paese ha sempre avuto molto a che fare con quel continente.


Sophia de Mello:

Ho scritto vari poemi sull’Africa, sono in una raccolta che si intitola Ilhas. Sono anche stata in Africa, ma solo dopo la rivoluzione, sono stata a Sao Tomè, Capo Verde, Angola, ma non in Mozambico.
La cosa che più mi è rimasta impressa è la lettura dei miei poemi che ho tenuto in Angola e Capo Verde, ho notato una grande attenzione alla poesia ed alla musica delle parole, allora avevo una bella voce... (“Ma lei ha sempre una bella voce!” - risponde...). Chi recita rimane colpito dal silenzio di chi ascolta, il silenzio degli altri innalza il poema. Io ero ad una tavola rotonda, ma a me non piacciono molto le discussioni, e neanche alla gente che partecipava, erano tutti un po’ annoiati. Ad un certo punto un mio amico africano mi ha detto: -“Sophia, andiamo là dentro a leggere poesie!”- E siamo stati tre ore a leggere mie poesie, è stato bellissimo! (lettura di una poesia da “Ilhas”).


Luigi Stralla:

Io vorrei chiederle, Signora Sophia, come le è nata questa vocazione alla poesia, che cosa l’ha spinta ad esprimere la sua personalità nella poesia?


Sophia de Mello:

Io ho avuto la fortuna che mia madre, quando sono nata io, aveva una cameriera molto simpatica e intelligente ma che non sapeva leggere, mia madre le insegnò e le dette un libro di lettura dove c’era un poema tradizionale portoghese del secolo diciassettesimo, molto bello, il poema parlava di una nave perduta in mare. Siccome i miei cugini avevano imparato a memoria delle poesie, la mia domestica volle che anch’io ne imparassi uno, ma io avevo solo tre anni, lei mi insegnò quel poema e da allora chiedevo sempre a mia madre, poi a mio nonno che mi dicessero poesie a voce alta, così prima di saper leggere ho imparato le poesie a memoria.
Nel mondo attuale si dice sempre che la poesia non ha lettori, ma quando facevo la campagna elettorale per il Partito Socialista, avevo spesso comizi nelle campagne, nei quali dovevo tutti i giorni parlare delle elezioni, delle liste. Un giorno, parlando della libertà, dissi che siccome per me la libertà era la poesia, avrei letto alcuni poemi. In tutto i posti dove ho fatto questo ho trovato un silenzio ed una attenzione molto grandi di fronte alla poesia.


Giovanni Avogadri:

Come già abbiamo sentito, Sophia ha scelto 46 poemi di Heleno da pubblicare, noi che in vari modi siamo amici di Heleno, saremmo interessati a sapere qualche tua impressione di questo lavoro che hai fatto sulle poesie di Heleno.


Sophia de Mello:

È stato un lavoro molto difficile anzitutto perché erano tanti poemi e poi perché non erano ordinati… Le poesie di Heleno sono molto ricche di tantissimi elementi, lui è un po’ come Senghor, da una immagine ne viene fuori un’altra. Ho molto pensato a quale ordine dare, perché è molto importante l’inizio, io penso di cominciare il libro col poema della madre, poi quello di “Venezia”, un poema bellissimo, che crea una specie di choc, poi il poema sull’ Africa, un poema molto doloroso, pieno dell’anima di Heleno, poi alcuni poemi scelti da “Cais do fin do mundo”, “Arcano Arcanjo”.


***

 


Sophia de Mello Breyner Andresen sull’arte poetica
Tratto da “Geografia”, Editorial Caminho,
(Traduzione a cura di Giovanni Avogadri)

La poesia non mi chiede propriamente una specializzazione, poiché la sua arte è l’arte dell’essere. Ugualmente non è il tempo o il lavoro che la poesia mi chiede. Non mi chiede una scienza, né una estetica e nemmeno una teoria. Mi chiede anzitutto l’interezza del mio essere, una coscienza più profonda della mia intelligenza, una fedeltà più pura di quella che io posso controllare. Mi chiede una intransigenza senza lacuna. Mi chiede di trarre, dalla vita che si corrompe, si guasta, si consuma e diluisce, una tunica senza cuciture. Mi chiede di vivere attenta come un’antenna, mi chiede di vivere sempre, che mai mi distragga. Mi chiede un’ostinazione senza tregua, densa e compatta.
Poiché la poesia è la mia convivenza con le cose, la mia partecipazione al reale, il mio incontro con le voci e le immagini. Per questo il poema non parla di una vita ideale ma di una vita concreta: angolo di finestra, risonanze di strade, di città e di appartamenti, apparizioni di volti, silenzio, distanza e luci di stelle, respirazione della notte, profumo di tiglio e origano.
È questa relazione con l’universo che definisce il poema come poema, come opera di creazione poetica. Quando c’è relazione con una materia c’è artigianato.
È l’artigianato che chiede specializzazione, scienza, lavoro, tempo e una estetica. Ogni poeta, ogni artista è artigiano di un linguaggio. Ma l’artigianato delle arti poetiche non nasce da se stesso, questo è relazione con una materia, come nelle arti artigianali. L’artigianato delle arti poetiche nasce dalla propria poesia, alla quale è consustazialmente unito. Se un poeta dice “oscuro”, “ampio”, “barca”, “pietra” è perché queste parole nominano la sua visione del mondo, il suo legame con le cose. Non saranno scelte esteticamente per la loro bellezza, ma saranno scelte per la loro realtà, per la loro necessità, per il loro potere poetico di stabilire un’alleanza. È dall’ostinazione senza tregua esigita dalla poesia che nasce l’“ostinato rigore” del poema. Il verso è denso, teso come un arco, esattamente detto, perché i giorni furono densi, tesi come archi, esattamente detti. L’equilibrio delle parole tra loro è l’equilibrio dei momenti tra loro.
E nel quadro sensibile del poema vedo dove vado, riconosco il mio cammino, il mio regno, la mia vita.


***


Testo letto da Sophia de Mello Breiner Andresen alla Sorbona in Parigi, nel dicembre del 1988, in occasione dell’incontro “Le Belles Etrangeres”
(Traduzione a cura di Giovanni Avogadri)

Nella mia infanzia, ancor prima di saper leggere, ascoltai recitare ed imparai a memoria un antico poema tradizionale portoghese, conosciuto come “Nau Catarineta”.
Ho avuto così la sorte di cominciare direttamente dalla tradizione orale, la sorte di conoscere il poema prima di conoscere la letteratura.
Di fatto ero così piccola da non sapere che i poemi fossero scritti da persone, ma credevo che essi fossero consustanziali all’universo, che fossero la respirazione delle cose, il nome del mondo detto da lui stesso.
Pensavo anche che se fossi riuscita a rimanere completamente immobile e muta in certi angoli magici del giardino, sarei riuscita ad ascoltare uno di quei poemi, che l’aere stesso portava in se.
In fondo, per tutta la mia vita ho tentato di scrivere questo poema immanente.
E quei momenti di silenzio nel fondo del giardino mi hanno insegnato, molto tempo dopo, che non c’è poesia senza silenzio, senza aver creato vuoto e spersonalizzazione.

Un giorno a Epidauro - approfittando di un momento di pace durante il pranzo dei turisti - mi sono messa nel centro del teatro ed ho pronunciato a voce alta l’inizio di un poema.
E udii nell’istante seguente là, in alto, la mia stessa voce, libera, ormai slegata da me stessa.
Tempo dopo ho scritto questi tre versi:

La voce sale gli ultimi gradini
Ascolto la parola alata impersonale
Che riconosco non essere più mia.



[A cura di Giovanni Avogadri]


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