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I pellegrinaggi di una volta

Argomento: Esperienze di vita

di Gerardo Miele
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Pubblicato il 10/05/2016 12:01:50

Dalla serie :”Come Eravamo”

I pellegrinaggi di una volta,e fino ad inizio anni 60.

Beh! Se quei tanti pellegrinaggi di allora,o se almeno uno di quelli, si realizzerebbe adesso,si potrebbe sicuramente gridare al”miracolo!”. Oppure,la notizia di un simile avvenimento, avrebbe riempito sicuramente la cronaca di tutti i cittadini raponesi,e non solo!
I pellegrinaggi di adesso,sono davvero poca cosa,rispetto a quelli che li hanno preceduti,complice la tecnologia e il ricorso quasi sistematico ai mezzi di trasporto motorizzati,soprattutto, autobus.
Una volta non era cosi’!Nei pellegrinaggi di allora,l’unico mezzo di trasporto usato in quel periodo in questa parte d’Italia,e non solo,da qualche fedele in particolare,era soprattutto l’asino,detto un tempo”vettura”,seguito subito dopo dal mulo.Per raggiungere i santuari o altre mete oggetto del pellegrinaggio,i Raponesi,ma anche i pellegrini dei paesi vicini,partivano in gruppo,di solito di notte e a piedi.Percorrevano svariati chilometri,anche fino a 30/40 circa,spesso,anzi quasi sempre,ne percorrevano altrettanti per tornare indietro ,come per esempio,quando andavano alla festa di San Rocco a Lioni(AV),il 16 agosto,impiegando circa 8 ore di cammino per terminare il percorso. Oppure,quando si recavano a Materdomini(AV),al santuario di San Gerardo Maiella,il percorso di sola andata si concludeva in circa 9 ore.Per raggiungere Ripacandida(PZ) per la festa di San Donato,occorrevano circa 7 ore di marcia.Molto più facile era raggiungere il santuario di Pierno,nella vicina San Fele(PZ),con 3 ore di cammino si arrivava alla meta.Per raggiungere Materdomini per la festa di San Gerardo soprattutto,ma anche per mete più lontane,spesso si partiva il sabato e si ritornava il lunedì,a volte anche il martedì(quasi sempre a piedi),dormendo sulle sedie e sui tavoli delle “Sale del Pellegrino” dei diversi santuari.Prima delle costruzioni di tali sale,i fedeli dormivano sui prati adiacenti…! Potenza della fede!(non parliamo poi dei pasti frugali e delle condizioni igieniche…!) Fonti di queste notizie: due memorie storiche di Rapone,Vincenza Moliterno ,classe 1928, e Giuseppina Summa,classe 1927.
Le strade percorse dai pellegrini erano tutte sterrate(i carrar), ogni gruppo aveva almeno un conoscitore della strada e delle scorciatoie(non c’era ancora il navigatore,Tom.Tom…!) ,e che guidava i passi dei fedeli verso la meta.
IL gruppo di pellegrini si muoveva compatto in direzione dei santuari,pregando e cantando canti liturgici e non,come per esempio, quando cantavano:”Un mazzolin di fiori!” alcuni,ricordo benissimo anch’io che,per devozione,percorrevano l’intero tragitto ,scalzi! Altri,si toglievano le scarpe solo in vista del santuario. Personalmente,sono andato a piedi a San Gerardo(AV) solo una volta all’età di 10/12 anni.Ricordo che siamo partiti di notte, ed io,per cercare di dormire un pò durante la marcia,mi mettevo a correre in avanti e distanziando il gruppo, aspettando poi il ricongiungimento con esso,sdraiato per terra e nella ricerca di dormire.Non penso che mi sia riuscito di dormire,ma a furia di ripetere queste tappe,credo di essere giunto a Materdomini più morto che vivo! In questo viaggio,i pellegrini,si riposavano e si ristoravano alla fontana di Quaglietta,e alla Sella di Conza.
Mia madre,Giuseppina Summa(classe 1927),che all’epoca era molto religiosa(anche adesso)ed era iscritta nell’Azione Cattolica di Rapone,spesso coinvolgeva anche me nei suoi pellegrinaggi.Ricordo che:mi portò a piedi anche a Ripacandida(PZ) e al santuario di Pierno(PZ).Per raggiungere Pompei e Montevergine si usava il bus(meno male!...)
A quei tempi,anche scarpe confortevoli potevano aiutare la marcia del pellegrino (me compreso),ma era già troppo se si possedevano ed erano in discrete condizioni! Adesso,i nostri figli ,oltre a non percorrere certe distanze a piedi,se non hanno le scarpe da ginnastica,semmai,anche firmate,non escono neanche di casa!
Per fortuna che ad inizio anni 50,il comune di Rapone e la Provincia di Potenza,asfaltarono ’ la strada che da Rapone porta al Bivio di San Michele,cosi’ i primi autobus potevano finalmente giungere a Rapone! Sollievo dei tanti pellegrini e non, che spesso,per il solo viaggio di ritorno,potevano servirsi di detto mezzo,oltre poi al fatto che potevano raggiungere mete di pellegrinaggio molto più lontane,proprio come adesso!
Giova ricordare che: appena prima degli anni 50,le strade di Rapone erano solo sterrate,o pavimentate in pietra. Per raggiungere la stazione di Rapone per la consegna o il prelievo della posta,si utilizzava un calesse trainato da un cavallo,di proprietà del compianto raponese sig. Domenico Leccese(Minguccio),il quale era addetto a tale servizio.Sempre prima di quel periodo, i migranti raponesi,raggiungevano la stazione di Rapone a piedi e caricando le valige sull’asino di qualcuno che li accompagnava. Non era raro vederli a piedi e valigia in spalla!...
Sempre in quegli anni,per andare a Calitri,bisognava guadare l’Ofanto,solo successivamente fu costruito il ponte attuale.A questo proposito,mi viene in mente una storiella vera che mi raccontava mio padre. Un signore di Rapone,ormai defunto,che aveva una masseria in campagna, ma che abitava in paese in via Guglielmo Pepe,un giorno andò a piedi a Ruvo del Monte per vendere un “panaro”(cesto di vimini)pieno di uova.Arrivato a Ruvo,gli venne detto che a Calitri,per ogni uovo gli avrebbero pagato una lira in piu’. Questo signore ,anche se stanco,si diresse di nuovo a piedi verso Calitri. Arrivato nei pressi del fiume Ofanto,nell’atto di guadarlo,scivolò sulle pietre e ruppe tutte le uova! E’ facile immaginarne la reazione che ebbe!
Per i piu’ giovani:”Ragazzi! Questa,non e’ preistoria,(come sembrerebbe ora),ma la storia di Raponesi (alcuni vivono ancora oggi ) che queste “esperienze” le hanno vissute neanche da molto tempo!

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