Lo and Behold - Il futuro di internet è oggi, ultimo documentario del regista tedesco Werner Herzog, ci parla di internet come lo conosciamo oggi: quello che rappresenta e che può rappresentare secondo il cinema del regista tedesco. Il massimo sistema preso in esame riflette sicuramente la contemporaneità digitale di cui internet si fa principale protagonista; in questo senso, Herzog concentra la riflessione più futuristica in alcune battute dei suoi intervistati quando si fa riferimento al futuro tecnologico in cui l’uomo non è indispensabile – in un caso, parlando con un tecnico robotico che afferma che la squadra di calcio del Brasile potrà essere battuta da robot un giorno; nell’altro, un po’ meta-filmicamente, come i robot potranno gestire la lavorazione di un film.
Un Herzog interessato dunque a questa nuova “rivoluzione” – come da lui indicata nel primo capitolo del film – e determinato a porre con il film come un duplice atto celebrativo: uno relativo alla rete e ai cambiamenti della comunicazione, l’altro una celebrazione referenziale della soggettività con cui il regista affronta questo tema. In questo senso il regista usa un tono di voce performativo-poetico (Nichols): una schiera di studiosi filmati in momenti di folgorazione poetica mentre esprimono le loro sensazioni; è escluso, dunque, un qualsiasi tentativo acuto di spiegazione tecnica per le tematiche poste. Questi intervistati hanno realmente segnato la storia di internet; tra di essi troviamo i pionieri dei concetti di ipertesto e dei protocolli di internet come Ted Nelson, Leonard Kleinrock e Bob Kahn.
Herzog pone l’argomento internet e i suoi risvolti come una storia fantastica - con toni visti già nel rapporto tra uomo e natura del documentario sulla vita di Timothy Treadwell (Grizzly Man) -, vale a dire il consueto formalismo celebrativo del regista. Troviamo un esempio nel terzo capitolo del film (Il “Lato Oscuro”): Herzog narra dell’orribile esperienza della famiglia Catsouras, una figlia deceduta in un tragico incidente e il conseguente cyber-insulto dovuto alle mail anonime con le foto della figlia sfigurata. La drammatizzazione di queste scene risulterebbe convincente – anche accettando la costruzione forzata della messa in scena – se venisse però contro-bilanciato da alcune spiegazioni. Herzog non cita né discute minimamente le possibilità preventive di queste aberrazioni informatiche come il semplice rivolgersi alle autorità competenti. Tutto viene quindi lasciato ad una dimensione esclusivamente drammatica.
E’ tuttavia innegabile però l’efficacia che questo soggettivismo narrativo convince quando vengono affrontate teorie come “l’internet delle cose”. Anche qui, pur non scavando in un dovuto approfondimento tecnico, Herzog mostra al pubblico le idee illuminanti proposte dagli esperti: i lunghi sguardi degli intervistati e la fissità della macchina da presa sono i principali fautori filmici di questa presentazione. Mentre in Grizzly Man l’apporto poetico e pro-forma del regista veniva in contro al racconto tra natura e uomo, in Lo and Behold lo stile del cineasta tedesco non si adatta alla stessa rete che oggi si auto-adatta e si auto-completa, dove il tecnicismo googlato fa parte ormai della nostra quotidianità. Herzog mostra con poetiche intuizioni alcune importanti teorie ma, nella maggior parte del film, cade in una sensazionalistica e poco adeguata conduzione di tali argomenti.
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