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Marzia Alunni su Maria Grazia Lenisa

Argomento: Intervista

Testo proposto da LaRecherche.it

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Pubblicato il 17/03/2011 12:00:00

[ Intervista a cura di Roberto Maggiani: proponiamo questa intervista a Marzia Alunni sulla poetessa Maria Grazia Lenisa. Possiamo affermare che la sua voce poetica, e non solo, sia rappresentativa di molte voci italiane che hanno lavorato o lavorano con grande passione per la lingua e con la lingua italiana, per questo motivo la proponiamo in occasione del 150° anniversario dell'Unità d'Italia ]


 

 

DOMANDA.

Cara Marzia, questa intervista è in onore e in memoria di Maria Grazia Lenisa, il 13 febbraio 2011 sarebbe stato il suo settantaseiesimo compleanno, ma Maria Grazia ci ha lasciati il 28 aprile 2009, dopo una lunga malattia che purtroppo lei stessa mi comunicò con una sua lettera – a cavallo del Duemila, usavamo ancora le lettere di carta. Conobbi il suo nome grazie a una sua bellissima silloge poetica, “laude dell’identificazione con Maria”, Edizioni Gazebo, 1992, che mi fu regalata da Mariella Bettarini nel 1998 e che mi conquistò. Le scrissi un anno dopo per chiederle la prefazione alla mia seconda silloge poetica “Forme e informe”, pubblicata dallo stesso editore… ma andiamo con ordine. Marzia, potresti gentilmente presentarti ai nostri lettori, in particolare proprio in relazione a Maria Grazia Lenisa?

 

RISPOSTA.

L’esperienza, di avere una scrittrice come lei per madre, è stata significativa per tutti gli aspetti del nostro rapporto, dal quotidiano della formazione iniziale, alle scelte umane, culturali e di studio successive. Il suo stile educativo era responsabile, esigente, ma anticonformista. Come donna si appellava al mio senso critico, con molta ironia, chiedendo una condivisione dei valori che fosse libera, ma vissuta fino in fondo, impegnandosi.

 Maria Grazia Lenisa non si tirava indietro quando era necessario apparire scomoda, è una lezione dignitosa che non ho mai dimenticato. Per me è stato importante scegliere di laurearmi in filosofia, con una tesi su un filosofo antidialettico del sec. XII, una scelta approvata dalla scrittrice e dalla madre. Convinto è stato anche il suo appoggio ai miei interessi di poesia, culminati con la pubblicazione de “Il Semacosmo” (edito da Bastogi nell’aprile 2002) e continuati dall’elaborazione di un’opera ancora inedita. Ora m’intriga soprattutto la critica letteraria, prediligo la lettura e l’analisi interpretativa, sebbene da una posizione felicemente autoreferenziale.

 

DOMANDA.

Ci parli di Maria Grazia? Ce la presenti? Alcuni dei nostri lettori ancora non la conoscono.

 

RISPOSTA.

È nata a Udine nel 1935, vivendo gran parte della sua esistenza a Terni. Fin dagli anni ‘50 le sue sillogi poetiche vengono notate da parte di critici straordinari quali: A. Capasso, F. Flora, F. Palazzi, F. Pedrina e E. Allodoli. Nel 1955 ha pubblicato “Il tempo muore con noi”, seguito da “L’uccello nell’inverno” e, durante la sua breve residenza a Brindisi, da “I credenti”. Gli anni ‘70 conducono Maria Grazia ad una revisione totale della precedente poetica, di questa crisi, sono testimonianza “Terra violata e pura” ed “Erotica”. Si assiste perciò a una svolta nel modo di intendere il femminile e l’eros. Per rispondere all’esigenza di rinnovamento, si rivelano fondamentali le poesie de “L’ilarità di Apollo”. In esse prevale un’ironia demistificante, espressa da versi fintamente narrativi, in un contesto poetico dall’erotismo metarealistico, basato sull’invenzione di un mondo immaginario. La nuova scelta è dibattuta con il critico-poeta Giorgio Barberi Squarotti che nelle prefazioni alle sue opere si propone come l’interprete più fedele al suo dettato.

Svariate sillogi sono state scritte poi nell’ultimo trentennio, da alcune si è attinto per l’antologia “Verso Bisanzio”(Bastogi), qui ricorderei: la “Laude dell’ identificazione con Maria” (Editrice Gazebo), promossa dalla mediazione critica di Mariella Bettarini, ma ancheLe Bonheur”,” La predilezione”,” L’ombelico d’oro”, “Eros sadico”, “Incendio e fuga”, “La rosa indigesta”(opere bastogiane), le “Amorose strategie”(Rhegium Julii 2008) e, inedito-postumo, “Il Canzoniere Unico”. Originale studiosa di critica letteraria, Maria Grazia Lenisa, si è interessata di nomi quali: A. Capasso, G. Barberi Squarotti, A. Zanzotto, G. Ruggero, S. Spartà, G. Mascioni, A. Coppola, M. Luzi, M. Bettarini, F. Delfi, A. Bonanno, A. Manuali e C. Calabrò e molti altri ancora. Ha elaborato un saggio di estetica fenomenologica, “La dinamica del comprendere”, che ripensa innovativamente il ruolo dell’ispirazione, coautrice mia sorella, Francesca Alunni.

Insignita dall’Istituto di Cultura Superiore del Mediterraneo di Palermo e Monreale, nel novembre del 2003, del “Diploma honoris causa” ha diretto la collana del Capricorno (Edizioni Bastogi). È nella “Storia della Civiltà Letteraria” (UTET). Il 28 aprile 2009 è venuta a mancare.

 

 

DOMANDA.

Quando ti sei resa conto di essere figlia di un poeta e che cosa ha significato per te?

 

RISPOSTA.

Da bambina ricordo la mamma sempre con la penna in mano. A ottto anni ero… gelosa, la volevo tutta per me. Successivamente ho mutato atteggiamento del tutto, scoprendo lati sempre nuovi della sua personalità. Ad esempio, mia madre è stata molto coinvolta dalla mia ‘tesi’ sul filosofo antidialettico Aelredo di Rievaux (sec. XII), a tal punto da aiutarmi a ricopiarla nella stesura finale. Non mi è facile dire molto della sua figura umana, senza soffrire, sebbene non provi una vera sensazione di abbandono perché vince la “maturità.” ! A volte, quando era viva, mi ripetevo, come un mantra: “Mia madre è il sole della mia vita!” Ora è necessario che questa luminosità non si perda nella dimenticanza. È un impegno costruttivo, simile a tutto ciò che lei intraprendeva.

 

 

DOMANDA.

Riporto alcuni versi della silloge “laude dell’identificazione con maria”: “Ahi! Quella chiusa / adolescenza ingrata / nella casa di Udine, / remota. / Così quel giorno / che apparisti all’Altra… / Come ombrello che s’apre / il tuo frusciare, per scrollarti le gocce, solo un modo, fra tanti, di annunciare… / M’avessi detto: / ‘Maria, sarai madre…’, / t’avrei cacciato e chiuse / le finestre. / Non avevo io dietro / le ali, ma la schiena pudica, un poco curva per i seni / inizali. / E quella luce su tante / miserie: la povera cucina, quattro pentole, Elisabetta / intenta a ventilare / un fuoco che non prende. / E ritrovarmi una ragazza- / madre? // […]”. Non vorrei apparire invadente, ma è un testo che ha un vago sentore autobiografico, mi sbaglio? Ci racconti qualcosa della giovinezza di Maria Grazia? A quale età ha iniziato a scrivere e perché? Che cosa e chi ha influito maggiormente sulla sua scrittura? Quali erano le letture preferite da tua madre? Quali sono stati i suoi maestri nella scrittura?

 

RISPOSTA.

Arlesti Maria venne riconosciuta da sua madre Ada, in pericolo di vita nel metterla al mondo, e ricevette quindi il nome di Maria Grazia e il cognome ‘Lenisa’. Crebbe come una “bambina scura dagli occhi bassi”, dall’amore appassionato verso la sua mamma, giovane e ragazza madre, una condizione scomoda, un marchio. Mariucci (in friulano) era precoce nell’amore per la poesia, già a sei anni componeva, basti pensare che la nonna Irene, suo reale genitore, era povera e non istruita (ma tanto sensibile). Ad indirizzarla verso gli studi classici fu la maestra elementare che le regalò tutta la sua biblioteca, fu… un’orgia di endecasillabi, di stanze, ottave e poemi per imitazione. Durante il liceo entrò in contatto con Aldo Capasso, il primo degli importanti intellettuali a credere in lei. Divenne in poco tempo un’esponente di spicco del movimento “Realismo Lirico”, erano gli anni della giovinezza, del Premio “Città di Catania”. La mamma era contornata da giornalisti scherzosi e da camerieri che al ristorante la viziavano! La sua poesia manifestava però caratteri di assoluta originalità anche rispetto ad altri autorevoli poeti della corrente.

Cambiarono le tendenze, mia madre (sposatasi, poi, negli anni ‘60) non concesse molto al gusto imperante, però ebbe il bisogno di scrivere un libro, in un certo senso, sociale, come “I credenti”, dedicato al Sud. Con “Erotica” e, soprattutto “L’Ilarità di Apollo”, il suo percorso prese una svolta totalmente differente, ma restava, in un ambito che privilegia ora tuttavia l’immaginario, “…una sana fresca innocente sensualità…”(Pref. di A. Capasso a “Il tempo muore con noi”). Si tratta di una nota destinata a svilupparsi in direzione anche del sacro, specialmente nelle opere seguenti. L’ultima produzione, successiva a “Verso Bisanzio”, metabolizzerà la dura esperienza del cancro, che non vorrei definire assolutamente un maestro, sebbene sia stato una dura scuola di vita. Molti critici hanno dato ali, estro e fantasia ai suoi versi, ma i numerosi amici sono stati, a loro volta, assai determinanti.

 

DOMANDA.

C’è un detto africano che afferma che i figli crescono guardando le spalle dei genitori, cioè crescono imparando da essi molte cose senza che i genitori se ne accorgano. Quale eredità morale, etica, spirituale e artistica ti ha lasciato tua madre? Che passioni ti ha trasmesso volontariamente e involontariamente?

 

RISPOSTA.

Sarei tentata di rispondere: tutto! Sarebbe la verità, però la mia personale idea è che il rapporto umano abbia avuto un significato importante per maturare un vissuto autentico, motivo ispiratore e spunto di riflessione. Alludo ad una poetica non smaccatamente confessionale e all’empatia come approccio al testo. Sul piano etico vibrante è stata la sua richiesta di giustizia per sé, per la Poesia con la maiuscola e per tutti i ‘suoi poeti’.

 

 

DOMANDA.

Sul tuo blog (http://marzialunni.blogspot.com/), presentando una poesia di Maria Grazia, in occasione del suo compleanno, scrivi: “In occasione del 13 febbraio, anniversario della nascita di Maria Grazia Lenisa, vi propongo semplicemente questa poesia per riflettere su una vocazione, quella del letterato, piena di responsabilità. Scegliere di sostenere la Parola significa impegnarsi in una battaglia che dura tutta la vita”. Ci racconteresti più in dettaglio cosa intendi dire dicendo che il letterato ha una vocazione piena di responsabilità, di quale responsabilità parli? Qual è il pensiero di Maria Grazia in relazione a tale responsabilità? C’è qualche momento particolare, che ricordi, nella vita di tua madre, in cui è particolarmente evidente la fatica di questa battaglia a sostegno della Parola?

 

RISPOSTA.

La responsabilità cui mi riferisco e quella interferente, come diceva spesso mia madre. Si tratta di agire conformemente alle proprie idee, senza compromessi, ma neppure fanatismi. Essere determinati significa testimoniare, passare per scomodi e non riuscire a comunicare in maniera adeguata la propria posizione, per le troppe umane conflittualità: potere contro merito, giustizia opposta a clientelarismo, autenticità in luogo di artificio.

Il letterato è ciascun uomo intelligente che apre un libro, qui sta la differenza con il passato, disponiamo degli strumenti, a volerli usare. I critici accreditati rispondono su un piano ulteriore, a loro compete la correttezza metodologica, non unicamente riducibile all’esattezza dei riferimenti testuali e bibliografici. C’è un dovere, che entrambe riconoscevamo, proprio dello studioso: mettere in discussione i cosiddetti “maestri”, verificare o forse falsificare le teorie già note. Mia madre non riteneva, a priori, valide ‘linee’ e ‘gruppi’ di poesia, preferiva distinguere profili ed esperienze nel crogiuolo del ‘900 ancora, a suo giudizio, confuso. Non è difficile intuire che questo atteggiamento le ha portato adesioni, ma anche problemi. Un discorso a parte merita poi l’erotismo in poesia che per Maria Grazia era persino opposto al vissuto ( l’eros genera arte, la sessualità, vita). È sempre stato faticoso difendere questo punto di vista, soprattutto con i letterati maschi di idee meno aperte, disposti a sostenere quelle scrittrici aproblematiche e magari disposte a …fraternizzare. È dura sempre per le donne in gamba!

 

DOMANDA.

In una tua e-mail, inviata a me e ad altri per proporre la lettura della poesia di tua madre pubblicata sul tuo blog, riproposta anche su LaRecherche.it, scrivi: “Non può essere tollerato l’uso e l’abuso della donna, compiuto da media e politici, a vario titolo e per ragioni di opposti schieramenti, quando esistono scrittrici e, in generale, intellettuali, che riservano la loro esistenza alla difesa del valore.” Che cosa direbbe, o scriverebbe Maria Grazia su questi tempi di malaffare (sempre citandoti)?

 

RISPOSTA.

Riderebbe dei protagonisti, senza con ciò esprimere giudizi di carattere politico, a lei abbastanza estranei. La sua politica era quella dell’onestà, purtroppo non si rivela affatto la migliore oggi. Dietro la risata, comunque, mia madre celava spesso un’amarezza, sul futuro, ben condivisibile. Non amava inoltre il termine “poeta”, usato al femminile, voleva rivalutare la parola “poetessa”, come titolo di merito, da portare con orgoglio. Credeva nel rispetto dell’integrità personale, scanzonata e assolutamente libera nell’espressione, sebbene da vivere con intelligenza. Il corpo è tutt’uno con la mente, non deve essere sbattuto in prima pagina, piuttosto ‘svelarsi’ come un miracolo che non smette di stupire, né si può comprare, un dono ardito.

 

 

DOMANDA.

Maria Grazia ha scritto molto, leggiamo, nella sua biografia che “Fin dagli anni ‘50 le sue pubblicazioni poetiche sono state oggetto di studio da parte di valenti critici quali A. Capasso, F. Flora, F. Pedrina e E. Allodoli.” Inoltre, in un bellissimo articolo, pubblicato sul numero 89-90, uscito nel 2010, della rivista fiorentina di letteratura e conoscenza, “L’area di Broca”, il poeta e critico Franca Alaimo, anche membro della redazione de LaRecherche.it, così si esprime: “[...] La Lenisa appare, di fatto, così consapevole della unicità della sua vocazione da porsi, come già aveva fatto Dante, nel numero dei grandi poeti che l’hanno preceduto o che le sono contemporanei, e da non risparmiare sapide frecciate all’indirizzo di certi bei nomi delle lettere italiane. [...]”.Come ha vissuto Maria Grazia la relazione con la critica? Che cosa si aspettava, che cosa non le è stato concesso che invece si aspettava e si sarebbe meritata? Pensi che l’opera poetica di tua madre sia stata considerata adeguatamente dalla critica? Che cosa prevedi per il futuro? Hai progetti per mettere maggiormente in luce la meravigliosa forza dell’opera poetica di tua madre?

 

RISPOSTA.

La critica letteraria ha dato molto, in termini di spunti e riflessioni, a Maria Grazia Lenisa. Il suo epistolario rivela parecchie discussioni approfondite sul senso della poesia, della letteratura, e sul ruolo che attribuiva se stessa in tale contesto. Il riferimento a Dante è certamente una provocazione costruttiva, per muovere a riflettere sulla poesia che non rinuncia alla sfida della grandezza, del pluristilismo e, scherzosamente, su un certo particolare naso! Mia madre è stata capace anche di crearsi, ne “Il Canzoniere Bifronte”, un coautore, Max Bender, e un critico, Pietre Visser, che sono esclusivamente parto della sua fantasia, ancora una volta, volava alto sulle convenzioni. Le è mancata l’intesa con alcuni intellettuali, quelli che ringraziavano solamente all’invio dei libri, o rispondevano che: “La sua era una poesia assai valida, però non rientrava nei loro schemi”. La logica ultima di certe reazioni sfugge davvero. Negli ultimi anni si era convinta che in fondo aveva avuto il meglio: tutto il divertimento di scrivere assolutamente come le pareva, pazienza per il grande editore! La battaglia per il merito è in salita per tutti, non c’è da stupirsene, l’edizione più accreditata non protegge dalla dimenticanza. Solo incrementare l’abitudine di leggere è una garanzia per il futuro di tutta la cultura.

 

 

DOMANDA.

Entriamo un po’ di più nell’opera di Maria Grazia e nel suo fare poesia. Sempre nell’articolo di Franca Alaimo, si legge: “[…] In verità, sembra che proprio in ciò consista l’operazione poetica della Lenisa: sacralizzare, attraverso la Parola poetica, tutto l’esistente, sia esso sperimentabile con i sensi, o teologicamente vero benché invisibile, o soltanto possibile perché immaginabile; e poi bruciarlo nella grazia del ritmo, nell’innocenza dell’invenzione, nell’emozione del molteplice sentire; e, in fin dei conti, sacralizzare se stessa e la propria parola, cingendosi il capo del lauro dell’eternità. […]”. Queste di Franca sono parole bellissime che, a mio avviso, riassumono molto bene il lavoro in versi di tua madre. Che cosa ne pensi, in particolare del sacralizzare tutto l’esistente e se stessa attraverso la parola?

 

RISPOSTA.

Franca Alaimo, ha colto magistralmente uno degli aspetti più interessanti nel suo percorso poetico, è un ritratto di rara efficacia. C’è in Maria Grazia Lenisa quella spinta a dire l’indicibile, attraverso la mediazione dell’eros e del sacro, non convenzionali. Appare, metatestualmente, una straordinaria vocazione alla vita “altra” nei suoi versi. Non dubito affatto che il premio vero sia la gloria, perciò si avverte una sorta di fede, in tale orizzonte creativo: la fiducia nel potere della parola, come Poesia e come presenza viva, religiosa, della Grazia.

 

DOMANDA.

Altro elemento fondante la poesia della Lenisa è l’eros, si leggono poesie pervase da un erotismo sano, umano, necessario, primigenio, addirittura la Alaimo parla di eros come “soggetto dominante” della sua poesia. Nell’ultima raccolta di tua madre, con la quale ha vinto il Premio Rhegium Julii, dal titolo “Amorose strategie”, pubblicata a cura del Circolo Rhegium Julii, ma anche nelle sue opere precedenti, Lenisa usa, talvolta, parole che normalmente, nel comune parlare, come nella poesia, si cerca di evitare per una sorta di falso pudore, invece lei riesce a comporre, con la sua grazia poetica,un mosaico di parole che si sorreggono l’una l’altra mostrando un disegno armonioso e piacevole che va al di là dei significati delle parole stesse, come in questa di pagina 23 intitolata “Ciò che non voglio”: “Ti piace l’uva passa, il capo nel tepore / del grembo palpitante, / il movimento / della bocca sembra / sporcarlo di vin santo. // Amore sei ciò che non voglio: sesso, / amore sei ciò che voglio: amore. // Non è colpa mia se il nido è / un orecchio, se il pène non suona il piffero / che dentro il circuito / delle vene. / Corsa di Indianapolis, chi / l’avrebbe detto che sarei arrivata prima. / Scorre lo champagne.” Che cosa ne pensi? Come riusciva, Maria Grazia, a conciliare la sua forte spinta alla trascendenza con una decisa tensione all’immanenza?

 

RISPOSTA.

La fede non è certo un trattato di geometria, neppure l’eros, la necessità di conciliare, quindi, gli opposti, semplicemente, è rimandata a una dimensione ultima, “in fieri”, allusiva e mai risolta teoreticamente. Ritengo poi che trascendenza e immanenza siano le cifre di una contraddizione, insita nel nostro tempo, di cui la Lenisa è stata testimone appassionata.

 

DOMANDA.

Ho l’impressione, per esperienza diretta, che Maria Grazia avesse una predilezione per i poeti spersi, esordienti o non considerati dalla critica ufficiale. Tua madre mi accolse nella sua amicizia, all’epoca ero esordiente al secondo libro. Ogni tanto ci scambiavamo lettere importanti in cui ci confrontavamo su vari temi, non necessariamente con molte parole, erano più che altro domande che rimanevano sempre aperte, su Dio, la fede, la poesia, la scienza. Ricevere una sua lettera mi dava sempre grande gioia e forza. Che cosa ne pensi? Ti comunicava le sue esperienze in relazione alla sua attività di poeta? Ha diretto la collana del Capricorno per la Casa Editrice Bastogi, come procedeva alla selezione dei testi? Ti parlava mai dei poeti che a lei si rivolgevano?

 

RISPOSTA.

Nella tua vicenda personale ci sono già le risposte più vere ai quesiti che mi poni. Legava con autori, per così dire, spersi, come atto di fiducia assoluto verso la poesia e nei confronti dell’uomo-poeta. Non badava a blasoni di nobiltà, metteva in discussione i potenti e voleva essere stimata dai suoi amici per se stessa, unica Maria Grazia! Le sue esperienze sono state la mia vita, ora i suoi amici contribuiscono ad arricchirmi intellettualmente. Conservo tutte le sue lettere e metabolizzerò con il tempo la strordinaria lezione culturale che mi ha lasciato. La selezione per il Capricorno Bastogiano, a riprova del suo impegno, era legata all’ empatia per la testualità altrui. La lettura ha assunto perciò un ruolo centrale ( e faticoso) nella quotidianità per anni, era oggetto di scambi verbali tra noi ( anche mia sorella partecipava) e di interesse per la varietà delle voci analizzate. Un ‘900 alternativo, poi, rientrava nell’impostazione editoriale della Bastogi, come attestano i numerosi volumi critici, come ad esempio “L’Altro Novecento” di V. Esposito.

 

DOMANDA. Tu scrivi poesie? Non ti è mai passata per la testa l’idea di prendere l’eredità poetica di tua madre e svilupparla scrivendo tu stessa poesie?

 

RISPOSTA.

Scrivo poesie dall’età di quindici anni, ma non sono certa di essere uno sviluppo all’altezza della sua complessa dimensione artistica. Evito di collocarmi dunque nella sua scia, il mio libro d’esordio è stato pubblicato in un numero modesto di copie ed ho un inedito nel cassetto, forse vi resterà. Attualmente desidero sviluppare invece il discorso critico.

 

DOMANDA.

Che cosa vorresti raccontare di tua madre, poeta, donna e madre, che non hai mai avuto l’occasione di dire? C’è una domanda che vorresti ti facessero per mettere in luce aspetti ancora non ben evidenziati della sua vita? Insomma la parola è tua, domanda a tema libero…

 

RISPOSTA.

Vorrei che mi si chiedesse per quale motivo i poeti dovrebbero leggere un suo libro. Risponderei che, se crediamo davvero nel diritto di non essere dimenticati per ottenere un’adesione al nostro percorso artistico, dobbiamo accertarci che sia riconosciuto il valore degli autori che hanno lottato prima di noi. È una cattiva premessa, per tutti, lo scandalo dell’oblio. Oggi l’abbondanza di informazione può tradursi nel rischio della caoticità. Lottare per Maria Grazia Lenisa è difendere il suo e il nostro diritto ad essere ascoltati.

 

DOMANDA.

La cara amica Franca Alaimo, sapendo di questa intervista, mi ha chiesto di porti questa domanda: “Maria Grazia soleva dire che il gesto poetico “sub specie aeternitatis” è ineliminabile. Però mi sconcerta il fenomeno dell’arte sempre più ridotta all’ “usa e getta”; per cui, una volta usciti da questo mondo, sembra che un glaciale silenzio si stenda sull’opera di poeti di grande qualità. Che cosa ne pensi del fenomeno, anche in relazione alla poesia di tua madre?”

 

RISPOSTA.

Condivido la preoccupazione espressa, tuttavia ritengo utile ribadire quanto ho già detto, la costruttività del nostro interesse per il valore artistico, personale e collettivo, ci deve spingere a solidarizzare con i poeti validi che non sono più fisicamente tra noi. Le loro poesie rimangono e nessuno, in effetti, può cancellarle, tranne la nostra decisione di chiudere la disponibilità al dialogo. Mia madre non è stata ancora dimenticata, allora forse anche voi, e i lettori di questa intervista, sarete ricordati, o letti se scrivete, con amore. Maria Grazia Lenisa, sappiatelo, non vi avrebbe mai dimenticato!

 

DOMANDA.

Hai una sua poesia da proporci in lettura per ben terminare l’intervista?

 

RISPOSTA.

Da “Arianna in Parnaso” vi propongo il testo intitolato “Vi lascio la Parola”:

 


VI LASCIO LA PAROLA

a Sergio Pautasso

Un’anima così

specchio del mondo ove si mira in fiore

la fanciulla,

ove il ragazzo si contempla il corpo appena

usato dal piacere e contende con la spada vivente la vita,

un’anima così non vale niente? Valgono i corpi soggetti

alla morte e Dio ci specchia, Anima del mondo, ironico,

nascosto.

 

A volte è l’urlo, perché lo specchio più non

specchia niente.

 

Lo vidi umano solo nella Donna che gli fu nido, voleva

esser stretta come conchiglia che chiude la perla.

Sortì la perla, aperta con la punta d’un coltello affilato,

dentro restava soltanto una goccia, un semacosmo

e si leggeva intera la Parola.

Dove cercare, uomo d’ogni

croce sulla terra la gioia?

Se mi sospinsi in mezzo

alla parola, fu per vivere intera la Speranza, sennonchè

l’uomo mi rigetta fuori dalla parola come fosse il guardiano

geloso d’ogni sillaba di gloria.

Cosa vi lascio, se mi perdo

in questa bolgia ch’è buca d’interessi e si compra l’anima

al prezzo di ogni rimorso.

Vi lascio la Parola a cui

mi afferro come al ramo che pende sull’abisso. E passa

Cristo, imbracciando una corda, si china, io l’afferro,

non precipito.

 

 

Grazie.


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