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Ricordando Montale a trent’anni della scomparsa

Argomento: Letteratura

di Anna Maria Bonfiglio
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Pubblicato il 20/10/2011 19:48:55


Sono le ore 13 di giovedì 23 ottobre 1975 ed Eugenio Montale sta fumando nel salotto della sua casa milanese quando squilla il telefono. A rispondere è “la Gina”, ormai l’unica persona che vive con il poeta da quando è rimasto vedovo di Drusilla Tanzi. La Gina è stata presa a servizio in casa Montale negli anni Quaranta, su segnalazione di un medico, e da quella casa non si è più mossa, divenendo con il tempo la governante e la custode prima dei coniugi Montale e poi del vecchio senatore Eugenio. La Gina dunque risponde al telefono e subito si reca in salotto per annunciare al poeta che a chiamare è l’ambasciata di Svezia: gli è stato assegnato il Nobel per la letteratura. E’ un momento indimenticabile, la solitudine della casa viene invasa dagli annunci radiofonici e, subito dopo, dalle felicitazioni degli amici.
Personaggio particolare, questo grande poeta, vissuto in una solitudine interiore seppure confortata dai rapporti con altri poeti e con stimati critici. A Genova, dove è nato il 12 ottobre del 1896 da una famiglia della borghesia colta e liberale e dove ha vissuto fino al 1927, ha frequentato Camillo Sbarbaro e Angelo Barile; a Firenze, dove lavora come redattore presso l’editore Bemporad, gli viene affidato l’incarico di direttore del Gabinetto Vieusseux, frequenta il Caffè delle Giubbe Rosse ed entra in contatto con Vittorini, Tecchi, Quasimodo, Gadda, Landolfi, Luzi… Il rifiuto a tesserarsi al partito fascista gli costa l’espulsione dal Vieusseux, i mezzi economici scarseggiano, vive di articoli e traduzioni, traduce Shakespeare, Blake, Emily Dickinson, Eliot. Lui, che a causa della salute delicata ha frequentato solo l’Istituto Tecnico, padroneggia l’inglese e si è costruito da giovane un background letterario leggendo e studiando assistito dalla sorella Marianna. Inoltre ha studiato canto con il baritono Ernesto Sivori, esperienza della quale gli è rimasto un grande amore per la musica che in seguito eserciterà nella funzione di critico musicale. La vita a Firenze scorre fra incertezze economiche e fragili relazioni sentimentali, conosce lo storico d’arte Matteo Marangoni e sua moglie Drusilla Tanzi dai quali nel 1929 viene ospitato per un certo periodo di tempo. Fra il poeta e Drusilla nasce una relazione, che si concluderà dopo una lunga convivenza con il matrimonio, ma ciò non impedisce a Montale di instaurare altri rapporti amorosi il più significativo dei quali è quello con Irma Brandeis, da lui immortalata con il senhal di Clizia nelle poesie de “Le occasioni”. Quello dei due è un rapporto vissuto nei tre viaggi che la giovane studiosa di Dante compie in Italia, nel ‘33, nel ’34 e nel ’38, ma nutrito da un lungo epistolario. Irma-Clizia dà un nuovo corso alla poetica montaliana che nelle liriche de “Le occasioni” coglie nelle apparizioni della donna un’epifania di nuovi ideali e di salvezza. Il soggetto lirico si sposta dal descrittivismo degli Ossi di seppia a una dimensione temporale dove l’assenza della donna, interlocutrice privilegiata, si rappresenta simbolicamente attraverso gli oggetti e i luoghi della memoria, vedi, ad esempio, La casa dei Doganieri e Non recidere forbice quel volto:
Non recidere, forbice, quel volto,
solo nella memoria che si sfolla,
non far del grande suo viso in ascolto
la mia nebbia di sempre.
Un freddo cala... Duro il colpo svetta.
E l'acacia ferita da sé scrolla
il guscio di cicala
nella prima belletta di Novembre.
La donna-angelo, l’angelo della visitazione, apparsa al poeta come dono, scompare, ne resta il ricordo che sfumando nella nebbia della lontananza tutto oscura. Nell’espressione al negativo “non recidere forbice quel volto” viene invocata la possibilità di far sopravvivere l’immagine dell’amata oltre il freddo e la “melma” (belletta) che regala l’oblio.
Le “Occasioni” sono gli istanti in cui è dato di poter intravedere una realtà diversa da quella vissuta, occasioni che nella vita Montale lascia sfuggire: indeciso e sempre legato a Drusilla, schiva con motivazioni pragmatiche e pretesti drammatici, quale il tentativo di suicidio della compagna, i reiterati segnali d’amore di Irma che infine lascia cadere ogni ulteriore tentativo fino ad interrompere la corrispondenza con il poeta. Nella sua ultima lettera, in possesso degli studiosi, così gli scrive: "Purtroppo, io ti amo. Ogni cosa che fai per farti del male, la fai anche a me. Non posso sopportare questa nostra vita dolente e poco eroica, ridicola quasi, ma vedo che ormai è troppo tardi per porvi rimedio..."
Nel 1948 Montale viene assunto al Corriere della Sera e si stabilisce definitivamente a Milano. Scrive di attività culturale e politica nel segno di una tendenza a sostegno di una cultura borghese critica e razionale, reportages di viaggio, racconti e recensioni musicali. Nel 1958 le prose vengono raccolte e pubblicate nel volume Farfalla di Dinard, nel 1981 esce il libro Prime alla Scala, dove sono riunite le critiche musicali. In seguito escono le raccolte di poesia Satura, Diario del ’71 e del ’72 e Quaderno di quattro mani. Alla moglie Drusilla Tanzi sono dedicate le poesie di Xenia, titolo mutuato dal greco xenia che nell’accezione ellenica era non solo il dono fatto all’ospite ma aveva anche il significato di “ospite temporaneo”, ciò che porta al correlativo “presenza terrena” in quanto appunto transitoria. Fra i testi della raccolta è particolarmente significativa la poesia “Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale:
Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale
E ora che non ci sei più è il vuoto ad ogni gradino.
Anche così è stato breve il nostro lungo viaggio.
Il mio dura tuttora, né più mi occorrono
Le coincidenze, le prenotazioni,
le trappole, gli scorni di chi crede
che la realtà sia quella che si vede.
Ho sceso milioni di scale dandoti il braccio
Non già perché con quattr’occhi forse si vede di più.
Con te le ho scese perché sapevo che di noi due
Le sole vere pupille, sebbene tanto offuscate,
erano le tue.
Con gli “occhi offuscati” la Mosca, come Montale aveva soprannominato Drusilla, continua ad essere per il poeta, anche da morta, la guida, la rupe a cui ancorarsi e gli ricorda che il significato dell’esistenza non è la realtà che si vede, quella costituita da “scadenze, prenotazioni, trappole”, ma l’accettazione che la vita è un transito passeggero. Nel 1980, unico caso per un autore vivente, viene pubblicata l’edizione critica dell’intera produzione poetica di Montale, l’ Opera in versi. Nominato nel 1967 senatore a vita e premiato col Nobel nel 1975, Eugenio Montale, considerato uno dei maggiori poeti, se non il maggiore, del secolo scorso, muore a Milano il 12 settembre del 1981 per una vasculopatia cerebrale.

Anna Maria Bonfiglio

RICORDANDO MONTALE A TRENT’ANNI DALLA SCOMPARSA

Sono le ore 13 di giovedì 23 ottobre 1975 ed Eugenio Montale sta fumando nel salotto della sua casa milanese quando squilla il telefono. A rispondere è “la Gina”, ormai l’unica persona che vive con il poeta da quando è rimasto vedovo di Drusilla Tanzi. La Gina è stata presa a servizio in casa Montale negli anni Quaranta, su segnalazione di un medico, e da quella casa non si è più mossa, divenendo con il tempo la governante e la custode prima dei coniugi Montale e poi del vecchio senatore Eugenio. La Gina dunque risponde al telefono e subito si reca in salotto per annunciare al poeta che a chiamare è l’ambasciata di Svezia: gli è stato assegnato il Nobel per la letteratura. E’ un momento indimenticabile, la solitudine della casa viene invasa dagli annunci radiofonici e, subito dopo, dalle felicitazioni degli amici.
Personaggio particolare, questo grande poeta, vissuto in una solitudine interiore seppure confortata dai rapporti con altri poeti e con stimati critici. A Genova, dove è nato il 12 ottobre del 1896 da una famiglia della borghesia colta e liberale e dove ha vissuto fino al 1927, ha frequentato Camillo Sbarbaro e Angelo Barile; a Firenze, dove lavora come redattore presso l’editore Bemporad, gli viene affidato l’incarico di direttore del Gabinetto Vieusseux, frequenta il Caffè delle Giubbe Rosse ed entra in contatto con Vittorini, Tecchi, Quasimodo, Gadda, Landolfi, Luzi… Il rifiuto a tesserarsi al partito fascista gli costa l’espulsione dal Vieusseux, i mezzi economici scarseggiano, vive di articoli e traduzioni, traduce Shakespeare, Blake, Emily Dickinson, Eliot. Lui, che a causa della salute delicata ha frequentato solo l’Istituto Tecnico, padroneggia l’inglese e si è costruito da giovane un background letterario leggendo e studiando assistito dalla sorella Marianna. Inoltre ha studiato canto con il baritono Ernesto Sivori, esperienza della quale gli è rimasto un grande amore per la musica che in seguito eserciterà nella funzione di critico musicale. La vita a Firenze scorre fra incertezze economiche e fragili relazioni sentimentali, conosce lo storico d’arte Matteo Marangoni e sua moglie Drusilla Tanzi dai quali nel 1929 viene ospitato per un certo periodo di tempo. Fra il poeta e Drusilla nasce una relazione, che si concluderà dopo una lunga convivenza con il matrimonio, ma ciò non impedisce a Montale di instaurare altri rapporti amorosi il più significativo dei quali è quello con Irma Brandeis, da lui immortalata con il senhal di Clizia nelle poesie de “Le occasioni”. Quello dei due è un rapporto vissuto nei tre viaggi che la giovane studiosa di Dante compie in Italia, nel ‘33, nel ’34 e nel ’38, ma nutrito da un lungo epistolario. Irma-Clizia dà un nuovo corso alla poetica montaliana che nelle liriche de “Le occasioni” coglie nelle apparizioni della donna un’epifania di nuovi ideali e di salvezza. Il soggetto lirico si sposta dal descrittivismo degli Ossi di seppia a una dimensione temporale dove l’assenza della donna, interlocutrice privilegiata, si rappresenta simbolicamente attraverso gli oggetti e i luoghi della memoria, vedi, ad esempio, La casa dei Doganieri e Non recidere forbice quel volto:
Non recidere, forbice, quel volto,
solo nella memoria che si sfolla,
non far del grande suo viso in ascolto
la mia nebbia di sempre.
Un freddo cala... Duro il colpo svetta.
E l'acacia ferita da sé scrolla
il guscio di cicala
nella prima belletta di Novembre.
La donna-angelo, l’angelo della visitazione, apparsa al poeta come dono, scompare, ne resta il ricordo che sfumando nella nebbia della lontananza tutto oscura. Nell’espressione al negativo “non recidere forbice quel volto” viene invocata la possibilità di far sopravvivere l’immagine dell’amata oltre il freddo e la “melma” (belletta) che regala l’oblio.
Le “Occasioni” sono gli istanti in cui è dato di poter intravedere una realtà diversa da quella vissuta, occasioni che nella vita Montale lascia sfuggire: indeciso e sempre legato a Drusilla, schiva con motivazioni pragmatiche e pretesti drammatici, quale il tentativo di suicidio della compagna, i reiterati segnali d’amore di Irma che infine lascia cadere ogni ulteriore tentativo fino ad interrompere la corrispondenza con il poeta. Nella sua ultima lettera, in possesso degli studiosi, così gli scrive: "Purtroppo, io ti amo. Ogni cosa che fai per farti del male, la fai anche a me. Non posso sopportare questa nostra vita dolente e poco eroica, ridicola quasi, ma vedo che ormai è troppo tardi per porvi rimedio..."
Nel 1948 Montale viene assunto al Corriere della Sera e si stabilisce definitivamente a Milano. Scrive di attività culturale e politica nel segno di una tendenza a sostegno di una cultura borghese critica e razionale, reportages di viaggio, racconti e recensioni musicali. Nel 1958 le prose vengono raccolte e pubblicate nel volume Farfalla di Dinard, nel 1981 esce il libro Prime alla Scala, dove sono riunite le critiche musicali. In seguito escono le raccolte di poesia Satura, Diario del ’71 e del ’72 e Quaderno di quattro mani. Alla moglie Drusilla Tanzi sono dedicate le poesie di Xenia, titolo mutuato dal greco xenia che nell’accezione ellenica era non solo il dono fatto all’ospite ma aveva anche il significato di “ospite temporaneo”, ciò che porta al correlativo “presenza terrena” in quanto appunto transitoria. Fra i testi della raccolta è particolarmente significativa la poesia “Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale:
Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale
E ora che non ci sei più è il vuoto ad ogni gradino.
Anche così è stato breve il nostro lungo viaggio.
Il mio dura tuttora, né più mi occorrono
Le coincidenze, le prenotazioni,
le trappole, gli scorni di chi crede
che la realtà sia quella che si vede.
Ho sceso milioni di scale dandoti il braccio
Non già perché con quattr’occhi forse si vede di più.
Con te le ho scese perché sapevo che di noi due
Le sole vere pupille, sebbene tanto offuscate,
erano le tue.
Con gli “occhi offuscati” la Mosca, come Montale aveva soprannominato Drusilla, continua ad essere per il poeta, anche da morta, la guida, la rupe a cui ancorarsi e gli ricorda che il significato dell’esistenza non è la realtà che si vede, quella costituita da “scadenze, prenotazioni, trappole”, ma l’accettazione che la vita è un transito passeggero. Nel 1980, unico caso per un autore vivente, viene pubblicata l’edizione critica dell’intera produzione poetica di Montale, l’ Opera in versi. Nominato nel 1967 senatore a vita e premiato col Nobel nel 1975, Eugenio Montale, considerato uno dei maggiori poeti, se non il maggiore, del secolo scorso, muore a Milano il 12 settembre del 1981 per una vasculopatia cerebrale.

Anna Maria Bonfiglio



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