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Oreste De Rosa

Argomento: Intervista

Testo proposto da LaRecherche.it

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Pubblicato il 20/04/2012 21:17:53

SCRIVERE PER SUPERARE L’EMARGINAZIONE

[ Intervista a cura di Roberto Maggiani ]

 

Ecco una bella esperienza di vita vissuta in cui lo scrivere è diventato un importante strumento di integrazione e di superamento dell’isolamento.

Chiunque si sia cimentato con la narrazione scritta, conosce la grande potenzialità espressiva dell’ideare e del mettere per iscritto, qualunque sia il genere specifico praticato. Meno noto, però, è che in alcuni casi particolari, la scrittura possa diventare strumento di superamento dell’isolamento. Ne parliamo con Oreste, che ha vissuto questa esperienza nella sua famiglia.

 

Chi è Oreste?

Ho 52 anni, e lavoro come dirigente commerciale in una grande azienda informatica. Sono sposato ed ho tre figli. Il terzo di questi, che si chiama Federico, è un autistico ad alto funzionamento, oggi ha 18 anni.

 

Forse, prima di andare avanti, potrebbe essere utile parlare brevemente dell’autismo, perché immagino che qualcuno possa averne un’idea un po’ vaga.

Hai ragione. L’autismo non è una malattia né un handicap in senso stretto, anche se spesso può diventarlo per come la società è organizzata. Possiamo dire che per motivi che la scienza non ha ancora appurato, esistono alcuni esseri umani che nascono con un cervello che funziona in modo diverso dal nostro. Generalmente, questa differenza si sostanzia nel percepire (a livello sensoriale) e rappresentare la realtà in modo a volte diverso, un autistico dispone di un profilo di capacità mentali diverso dal nostro.

Gli autistici sono quasi sempre molto differenti tra di loro e non è facile generalizzare. Sono persone fortemente in difficoltà nel comunicare con noi non autistici ma a volte sono dotati di capacità eccezionali in alcuni campi, come ad esempio la matematica o la musica.

In alcuni casi l’autismo può essere molto lieve, quasi impercettibile, mentre in altri può arrivare a ridurre quasi a zero le capacità dell’autistico di interagire con le altre persone.

Dicevo che l’autistico è una persona il cui cervello funziona in modo diverso. Nel momento in cui si inserisce in un mondo di persone che, nella stragrande maggioranza sono non autistiche, la sua condizione può determinare una serie di handicap, soprattutto in ambito comunicativo e sociale.

 

Tuo figlio Federico, che tipo di autistico è?

Fino ad un anno di età, Federico era un bambino come tutti gli altri. Nei mesi successivi abbiamo notato che le sue capacità comunicative e di interesse per il mondo esterno, anziché crescere naturalmente con l’età, andavano regredendo.

Abbiamo quindi avviato un processo di analisi e monitoraggio medico che passando per la pediatra, poi per i servizi dell’ASL ed infine per un reparto di neuropsichiatria infantile, ci ha condotto alla diagnosi di una forma di autismo non verbale, poi evoluta con l’età in autismo ad alto funzionamento.

 

Ad alto funzionamento, in che senso?

Nel senso che esistono casi in cui l’autismo si può accompagnare ad un ritardo mentale, più o meno marcato, mentre Federico dispone di un elevato livello di intelligenza. Oggi, in quarto Liceo Scientifico, ha nove in Latino ed otto in Chimica ed in diverse materie raggiunge prestazioni notevoli, anche se è in grande difficoltà in ogni forma di interazione verbale con i suoi compagni di classe.

 

Capisco. Veniamo allora al tema che più ci interessa. Parola verbale e parola scritta.

Uno dei più grossi problemi nella gestione di Federico nei suoi primi anni di vita è stato il fatto che lui non era in grado di parlare. Solo in momenti di forte coinvolgimento emotivo poteva tirare fuori una singola parola o una singola frase, ma nella normalità era capace di passare anche una settimana senza riuscire a pronunciare una sola parola.

Questo per noi familiari, mia moglie ed io ma anche per suo fratello e sua sorella, è stato innanzitutto un grande dolore. Vedere un proprio familiare crescere negli anni della scuola materna e poi della scuola elementare, senza poter mai sapere cosa sente, cosa vive, cosa pensa, è una condizione triste e dolorosa.

Questa incapacità comunicativa quasi totale chiedeva a noi, suoi familiari, di credere quasi fideisticamente nell’esistenza della sua personalità interiore, in quanto questa non si manifestava nella comunicazione interpersonale, perché Federico non parlava e comunicava molto poco anche in termini non verbali.

Ci sono poi stati diversi problemi pratici. Non poteva dire di stare male ed era difficile acquisire da lui qualsiasi tipo di informazione operativa.

 

Deve essere stata dura…

Beh, tutta la famiglia ha dovuto ridefinire la propria visione della vita, dello stare insieme, i propri valori. E’ stata una strada dura, dolorosa, faticosa, ma che ha anche consentito di superare tanti falsi problemi che spesso nelle famiglie esistono e di far crescere l’amore, richiamando tutti all’essenziale. Federico è stato la nostra scuola di vita.

 

E quando entra in gioco la parola scritta?

In seconda elementare, nella nostra costante ricerca di tutto ciò che potesse aiutare una persona autistica, siamo entrati in contatto con un metodo riabilitativo che, nel corso degli anni, è stato identificato con nomi diversi: “Comunicazione Facilitata”, poi evolutasi in “Comunicazione Aumentativa Alternativa”, “Metodo WOCE”.

 

Di che cosa si tratta?

Qualcuno aveva scoperto che in molte persone autistiche esisteva una difficoltà nel passare dalla decisione di fare una cosa al farla veramente, un passaggio mentale che per noi non autistici è addirittura difficile da concettualizzare.

In concreto, alcune persone autistiche, messe da sole di fronte alla tastiera di un personal computer, rimangono inerti, incapaci di fare qualsiasi cosa. Se però una persona, adeguatamente addestrata a tale metodo, prendeva nel palmo della propria mano il polso destro dell’autistico ed accompagnava la mano verso la tastiera, quasi a voler dare un abbrivio, questi cominciava a scrivere parole di senso compiuto.

Si scoprì poi che, con l’esercizio e con il tempo, tale metodo aveva una efficacia progressiva, nel senso che l’autistico imparava a scrivere sempre di più e che il suo “facilitatore” poteva far regredire il contatto dal polso dell’autistico all’avambraccio, poi al gomito, alla spalla, alla clavicola e così via.

Al termine, alcuni autistici arrivavano a scrivere completamente da soli.

 

E’ una cosa molto bella. E questo metodo come è entrato nella vostra vita?

Abbiamo subito portato Federico in un centro specializzato per un test, dove ci hanno detto che nonostante il suo autismo fosse molto forte e la sua chiusura alla comunicazione interpersonale molto marcata, appariva loro in grado di apprendere tale metodo.

Io e mia moglie abbiamo quindi iniziato ad usare questo metodo e nel tempo si sono uniti a noi anche gli altri due figli. La capacità di facilitare Federico è stata poi estesa anche alla sua insegnante di sostegno, in modo che potesse aiutare Federico a scrivere in ambito scolastico. Lui dispone inoltre di una assistente specializzata in tale metodo, che affianca l’insegnante di sostegno.

 

A questo punto sono curioso di sapere cos’è accaduto.

Le scoperte sono state tante ed anche sensazionali. Innanzitutto Federico, cui a stento usciva una parola ogni tanto, aveva già a sette anni una perfetta padronanza della lingua italiana. Nella sua intelligenza, per certi versi superiore, comprendeva perfettamente il linguaggio, se scritto, ed era capace di esprimersi scrivendo, con una ricchezza di costruzione e di vocaboli decisamente superiore a qualsiasi ragazzo della sua età.

 

Immagino che sia stata una svolta nella sua vita.

Il primo grande cambiamento è stato il poter dialogare con i propri familiari, l’esprimere il dolore e la rabbia per la propria condizione, di cui era perfettamente consapevole, ma anche di ricevere aiuto e comprensione, attraverso un dialogo umano, affettivo, che è andato via via crescendo ed ampliandosi.

Si è poi creata la possibilità di una dialogo pratico, dal “cosa vuoi mangiare” al “come ti senti” o al “dove ti fa male”. Di fronte a qualsiasi problematica pratica di vita, noi andiamo con Federico davanti al PC e possiamo interagire perfettamente.

Abbiamo poi avuto una grande applicazione scolastica di questa forma di comunicazione scritta, perché Federico è diventato capace di partecipare ai compiti in classe e di rispondere per iscritto alle domande di una interrogazione. Così ha potuto esprimere e mettere a frutto la sua grande intelligenza. Lo scorso giugno ha concluso il terzo anno di Liceo Scientifico, dove studia con un PEI (Piano Educativo Individualizzato) riconducibile ai programmi curricolari, con la media del 7,5.

Avvicinandosi la maggiore età, è emersa una nuova grande area di applicazione di questa tecnica, legata alla possibilità per Federico di scegliere tra più opzioni possibili e di decidere quindi della propria vita. Oggi, spesso, il sabato, io e mia moglie, passiamo la serata con lui e facciamo scegliere a lui cosa fare. Abbiamo quindi appreso che le cose che preferisce sono il cinema, l’ascoltare musica dal vivo (soprattutto jazz) e l’andare al ristorante. Non in un ristorante qualunque, però, perché lui ha una sua precisa scala di preferenze, anche in questo, che esprime perfettamente.

 

Ha imparato a scrivere da solo?

Ancora no. Dal palmo della mano sotto il suo polso destro, siamo passati al toccare un avambraccio, poi il gomito destro ed ora la spalla destra. Stiamo lavorando al passaggio del contatto dalla spalla destra alla sinistra e così ci allontaniamo progressivamente dalla sua mano che scrive.

Il punto d’arrivo è farlo scrivere da solo, ma ci vorrà ancora tempo e lavoro.

 

E nei contenuti del suo scrivere, cosa emerge?

Emerge la sua differenza da noi che autistici non siamo. Lui stesso se ne rende conto e la sa spiegare molto bene. Ai suoi compagni di scuola, ed agli altri suoi amici, ha spiegato per iscritto in cosa lui autistico è diverso da loro e come loro possono fare ad entrare bene in relazione con lui. Aiuta quindi i suoi interlocutori ad interagire efficacemente con lui.

Nei contenuti del suo scrivere, evidenzia alcune cose che ha in meno rispetto a noi, ad esempio il non riuscire a capire quando, in una certa situazione, ci sia da sbrigarsi. Nel contempo però esprime una sorprendente capacità di fotografare in pochissimo tempo l’umanità di qualsiasi persona in cui si imbatte e di capirla profondamente nei suoi pregi e nelle sua aree di miglioramento. E’ quindi molto profondo, sensibile ed anche molto equilibrato nella sua valutazioni.

 

Questo suo comunicare per iscritto, lo ha portato ad inserirsi almeno in parte nel tessuto sociale?

Federico ha un ottimo rapporto con i suoi compagni di classe, che gli consente di vivere molto bene il contesto scolastico. Alcuni di questi compagni, poi, sono di tanto in tanto a casa nostra per vedere insieme un film, fare un gioco da tavolo o una cena.

 

Un gioco da tavolo? E Federico gioca senza parlare?

Federico gioca molto bene a Risiko. Scrive le mosse che vuole fare ed è molto equilibrato tra attacco e difesa. Tra i suoi compagni di classe è uno dei migliori in questo gioco. Soprattutto viene molto avvantaggiato dalla sua tendenza ad essere sempre equilibrato ed attento nella valutazione, il che gli evita mosse di gioco avventate.

 

Incredibile. Stavamo dicendo del contesto sociale.

Oltre ai compagni di scuola, Federico frequenta la parrocchia, per sua propria scelta, e fa parte di un gruppo di ragazzi che si riunisce una volta la settimana e fa a volte uscite nei week-end o di una settimana nel periodo estivo.

 

E come gestisce una situazione in cui, durante un incontro, immagino, la gente sta seduta in cerchio e parla?

Lui innanzitutto è molto contento e motivato a partecipare. Deve essere accompagnato da una persona che sappia assisterlo nella scrittura, ed allora partecipa alla discussione scrivendo. E’ anche molto apprezzato dagli altri ragazzi, perché quando si discute di un tema, la sua profondità e sensibilità lo portano ad esprimere opinioni valide  e profonde che sono di grande contributo al dialogo nel gruppo. A volte diversi ragazzi si dicono d’accordo con ciò che lui scrive e nel tempo si è quindi anche guadagnato una certa leadership sui temi esistenziali.

 

Bello. Lo scrivere, quindi, ha rimesso in gioco una vita che appariva bloccata. Non è così?

Direi proprio di sì. E non sappiamo dove tutto questo potrà portarci. Certo la fatica ed anche il dolore non mancano, perché la società spesso non è tenera con chi è diverso. Però è anche una esperienza capace di cambiare la vita di chi gli sta vicino e di donare grandi significati anche a piccoli atti quotidiani.

 

Federico sa di questa intervista che lo riguarda?

Di questa in particolare no, ma sa che noi genitori siamo impegnati, quando possibile, nel fare qualcosa per diffondere una corretta conoscenza dell’autismo. Lui stesso è impegnato in questo senso. Tramite un’associazione che riunisce famiglie di ragazzi e ragazze autistici, Federico riceve delle email da parte di mamme che hanno bambini piccoli e che gli chiedono aiuto per interpretare l’origine dei loro comportamenti. Lui risponde a tutte, cercando di aiutarle per quanto possibile.

 

Ha mai scritto una poesia?

Solo su richiesta degli insegnanti a scuola. Non credo sia un genere di espressione capace di attrarlo.

 

Ci puoi proporre un breve testo scritto da lui, che lui è contento di donarci? Porta per favore a Federico i nostri saluti, da tutti i lettori e gli autori de LaRecehrche.it. A voi i nostri migliori auguri. Grazie.

 

Ecco una piccola parte del testo che Federico ha scritto via email ad un suo amico:

“Vedi io sono molto solo perché non riuscire a comunicare a voce è un grosso limite. Non riesco proprio a capire come fate voi non autistici a trovare nella vostra testa al volo tutte quelle parole così giuste e a dirle così velocemente ed anche con espressioni del volto che completano ciò che volete comunicare. Per voi è normale ma a me sembra un miracolo. io a fatica riesco a scrivere una lettera per volta e solo se papà mi è vicino.

Anch'io però so fare delle cose per voi difficili, come parlare e ascoltare allo stesso tempo o ascoltare e comprendere due persone che parlano contemporaneamente di cose diverse. In sintesi, la mia mente lavora in un modo diverso da quella degli altri e ciò mi mette in difficoltà.

Spero che diventeremo amici nonostante le differenze tra di noi. Qualsiasi cosa tu pensi io possa fare per te chiedi, così la mia amicizia potrà essere concreta e quindi vera.

 

E sulla sua ricerca personale sui temi della trascendenza, condotta insieme ai suoi amici della parrocchia:

 

4/4/2011 – Si discute della speranza. Ogni ragazzo viene invitato a scrivere la sua definizione sia di speranza che di speranza cristiana. Federico scrive:

 

(La speranza)

 

La speranza è sentire che le cose si possono migliorare. L’amore genera la speranza in chi si sente amato. Quando ti senti veramente amato, questo ti apre nel cuore una prospettiva di speranza. Se nessuno ti ama allora sei disperato.

 

(La speranza cristiana)

 

La speranza del cristiano per me è credere e sentire profondamente che l’amore che mettiamo nelle situazioni concrete della vita può veramente cambiarle per il meglio perché amare è partecipare alla vita di Dio. L’amore è presenza di Dio che risana l’umanità.



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