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Per ricordare Elsa Morante

Argomento: Letteratura

di Anna Maria Bonfiglio
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Pubblicato il 29/09/2012 19:44:09

Cento anni fa nasceva Elsa Morante, scrittrice che ebbe in vita un notevole successo letterario, ma la cui figura viene poco ricordata. Eppure fu una delle narratrici più interessanti del secondo Novecento, autrice, oltre che di poesie e di scritti giornalistici, di romanzi che conseguirono i più importanti premi letterari, da Menzogna e Sortilegio, a cui fu assegnato il Premio Viareggio, a L’isola di Arturo, risultato vincitore del Premio Strega. Scrittrice dalla corposa produzione e donna dalle sofferte problematiche esistenziali, Elsa Morante visse una giovinezza travagliata, una maturità ricca di esperienze ed una vecchiaia tormentata dalla malattia e dalla quasi indigenza, tanto da riuscire, per interessamento di Alberto Moravia, ad ottenere l’assegno Bacchelli.
Elsa Morante nasce a Roma nel 1912 dalla relazione di una maestra ebrea, Irma Poggibonsi, con un impiegato delle Poste, Francesco Lo Monaco, ma viene riconosciuta dal marito della madre Augusto Morante, sorvegliante in un istituto di correzione giovanile, in casa del quale cresce assieme ai fratelli più piccoli Aldo, Marcello e Maria. Inizia a scrivere giovanissima filastrocche e fiabe per bambini, poesie e racconti che già nel 1933, grazie all’appoggio del critico letterario Francesco Bruno, pubblica su riviste e giornali quali il Corriere dei piccoli e il Meridiano di Roma; nel 1935 comincia a collaborare con il settimanale Oggi. Concluso il liceo, lascia la famiglia e si stabilisce per conto proprio, mantenendosi con lezioni private e redazioni di tesi di laurea. Ad un certo punto, però, le ristrettezze economiche le impediscono di continuare gli studi alla Facoltà di Lettere. Nel 1936 incontra lo scrittore Alberto Moravia che sposa nel 1941. E’ un’unione che si rivelerà problematica: dopo un periodo in cui la coppia condivide sia i disagi della guerra, a causa dell’antifascismo di Moravia, sia, in seguito, la vita mondana e culturale dell’ambiente romano, il rapporto fra i due si svolge in un alternarsi di momenti di grande comunicazione e di periodi di malessere e di distacco. Il carattere della Morante è ambivalente, il suo desiderio di protezione e di affetto si scontra con la sua necessità di sentirsi libera; desidera la maternità ed allo stesso tempo la rifiuta, per poi rimpiangerne la possibilità perduta. Infine lascia la casa coniugale e si trasferisce in un appartamento in via del Babuino, continuando tuttavia a frequentare Moravia e a viaggiare con lui. Nel 1962 si separa definitivamente dal marito e in seguito frequenta Luchino Visconti e il pittore americano Bill Morrow con il quale ha una relazione. In questo periodo
la scrittrice rifletté a lungo sulla sua narrativa, rifiutando e distruggendo molto di ciò che aveva scritto nel frattempo, ad eccezione di poche cose, tra cui la poesia L'avventura. Con il suicidio di Morrow comincia per Morante un triste periodo in cui avverte l’angoscia della morte e la paura della vecchiaia che le instillano uno stato di ossessione che la tormenterà fino alla fine dei suoi giorni. Trascorre gli ultimi anni a letto, impedita nella deambulazione a causa di una operazione per la rottura di un femore, e nel 1983 tenta di suicidarsi con il gas. Salvata dalla domestica, viene ricoverata in una clinica romana dove, dopo un secondo intervento chirurgico, muore d’infarto il 25 novembre del 1985.
La sua narrativa è essenzialmente inquadrata nella storia della condizione dell’uomo e nei suoi aspetti irreversibili che si esplicitano nella contrapposizione umili-potenti, innocenti-colpevoli, paradisi-inferni. In Morante narrativa e poesia sono tematicamente vicine, nella narrazione il linguaggio è di volta in volta, allucinato, visionario, barocco, descrittivo, puntualistico; quello poetico è colloquiale, effuso di rimandi storici e mitologici, di narrazioni favolistiche, di visioni oniriche. Il romanzo Menzogna e sortilegio si conclude con la poesia Canto per il gatto Alvaro, che la protagonista Elisa eleva a suo interlocutore privilegiato e suo unico amico, un’ode in cui l’animale assume valenza umana e si veste di tutti quegli attributi che connotano un essere umano. La poesia Alibi è una lunga tessitura di rimandi storici alla mitologia greca e a quella medievale e introduce il lettore in un mondo di magico incantamento. Canta l’amore in una partitura mitopoietica che ricrea mondi feudali, classici, sognanti. L’interlocutore a cui si rivolge l’autrice è la somma di tutte le figure epiche della storia letteraria. Quella "Storia" che si ripete nei fatti e nei sentimenti, nelle vicende comuni a tutti gli esseri umani e nei percorsi psicologici ed emotivi del singolo.
Dal 1971 al 1973 Elsa Morante si dedica alla stesura di quella che sarà la sua più popolare e discussa opera: La Storia, che verrà pubblicata nel 1974, in edizione economica per volontà dell’autrice. Al suo apparire il romanzo, di seicento e più pagine, suscita entusiasmo e polemiche, alla popolarità che guadagna presso i lettori si oppone la riserva di una parte della critica. Scrivere un’opera di narrativa dall’impianto ottocentesco, quale è La Storia, in un tempo in cui l’eco delle avanguardie non si è del tutto dileguata e poeti e scrittori sperimentano tecniche innovative di scrittura, non può non far discutere. Fra coloro che ne sono entusiasti vi è Natalia Ginziburg, fra i polemici Italo Calvino e fra coloro decisamente ostili all’opera morantiana spicca Enzo Siciliano. L’animosità di questi ultimi, generata da ragioni ideologiche, si manifesta con la denigrazione del romanzo in quanto ritenuto narrativamente esuberante, dagli incerti esiti artistici e dalla decisa vena populista. Tuttavia non ne vengono negati i valori positivi, come il rispetto per l’essere umano e la pietas verso la categoria degli umili, gli sconfitti della vita, quegli “ultimi” di evangelica memoria.
Il romanzo copre un arco di tempo che va dal 1941 al 1947 e racconta la storia della maestra Ida Ramundo, una vedova ebrea che viene stuprata da un giovane soldato tedesco. Da quell’atto di violenza nasce Useppe, il figlio che diviene l’unica ragione di vita di Ida, donna mansueta e rassegnata, mater dolorosa che arriva anche a rubare pur di provvedere al nutrimento del piccolo, a sua volta creatura gracile cresciuta fra gli stenti della guerra. La storia di queste due esistenze, anime semplici calate nel groviglio dannato di un’era di violenza e di morte, è il paradigma della follia dei potenti e della devastazione fisica e psicologica perpetrata a danno dei soggetti più deboli. Il recondito fine di quest’opera sta nella concezione di un’ideologia che condanna la “Storia” come “uno scandalo che dura da diecimila anni”, un ciclo immutabile che non si sviluppa secondo le leggi del progresso, ma che si accanisce sui più deboli attraverso ingiustizie e follie distruttive. Al pregio narrativo dell’opera va associato il valore aggiunto di una puntuale cronologia degli eventi storici nazionali e internazionali del secolo scorso, dall’inizio del Novecento fino al 1967. Ogni capitolo è infatti preceduto da un quadro di ordine temporale nel quale sono elencati per data gli avvenimenti coevi al periodo narrato. E’, questo elemento, una cifra in più che assegna all’opera l’importanza del documento storico.



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