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Il sogno

di Veronica Mogildea
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Pubblicato il 20/02/2015 11:19:49

“Ho fatto un brutto sogno.” Gli dico piano senza girarmi. Non lo guardo, so che è sveglio e mi ascolta. Il suo respiro regolare segna il tempo che scivola su di noi. Un tempo impassibile, privo di ricordi, privo di rimorsi. Un tempo assente.
Lui resta in silenzio. Aspetta. Con lo sguardo osservo le lame di luce, posate sul soffitto, che si sono create penetrando fra le stecche delle tapparelle. Perfettamente parallele, tranne una che sbieca accavalca le altre e va a rovinare intero disegno. Scrollo le spalle. C’è sempre qualcosa che distrugge la perfezione del momento. Un presentimento inizia a palpitare sotto le tempie. Nella mia vita ci sono state tante linee storte.
La sua mano si allunga incerta, in un richiamo e cerca la mia pelle. Rabbrividisco. La sensazione di estraneità è forte, come se ci trovassimo in due dimensioni diverse. La consapevolezza della fine mi schiaccia. Prima o poi tutto finisce, anche quando non lo vogliamo.
Decido di ignorare l’angoscia che mi imprigiona. Torno al mio sogno. Sento il bisogno di raccontarlo, di liberarmi. Solo così riuscirò a dimenticarlo.
“Ero sul margine di un dirupo. Sotto di me, come una bocca minacciosa, si apriva un buco nero. Il cuore mi martellava forte le tempie. A momenti avevo la sensazione di essersi annidato dentro le orecchie. Con un rumore assordante e ritmico. Come le campane. Sapevo che stavo per cadere lì, dentro quella voragine nera, ma non avevo la forza né di gridare per chiedere aiuto, né di scappare. Guardavo un po’ te che ti avvicinavi lento, passi pigri, quasi svogliati e un sorriso largo sul viso. Un po’ guardavo il buco nero che pulsava sotto i miei piedi e che presto mi avrebbe inghiottita. Tu hai allungato la mano, come ora, forse con un po’ più di pressione. Era una spinta morbida, senza cattiveria, quasi una carezza. Speravo fosse solo una carezza. Continuavi a sorridere. Chissà perché mi era passato per la mente che avevi un bel sorriso. Rassicurante. Forse la parte più bella di te. Che mi piaceva di più.
La terra cominciò a sbriciolarsi sotto le mie scarpe. Cercavo di resistere, chissà se avevo anche gridato. Cominciai a scivolare. Credo di aver registrato il momento stesso del distacco dei miei piedi dal piano solido che mi sorreggeva. Un attimo terribile. Chiusi gli occhi e mi lasciai cadere.
“È il mio destino.” Pensai. “Perché opporsi?”
Non puoi ribellarti al proprio destino.
Sentivo il mio corpo glissare lungo il labbro sporgente del precipizio. Rami o forse radici cercavano di frenare la mia caduta inerte. Pezzi di pelle strappati dalle ginocchia, dai gomiti vi rimanevano attaccati come pegno di quel abbraccio disperato. Atterrai. Credevo fossi morta. Una grande paura mi impediva di aprire gli occhi. Nessuno sa cosa c’è aldilà. Con una lucidità insolita analizzavo il mio stato. Volevo capire. Non avevo male. Non sentivo alcun dolore.
“Forse è così quando non ci sei più.” pensai.
Qualcosa, simile ad una carezza mi stava sfiorando la mano. Mi feci coraggio e mi imposi di aprire un po’ le palpebre. Mi trovavo su un prato verde. Piccole margherite parevano perle bianche sparse nel erba. Accanto a me un grosso cane sguainava piano. Sorrisi. Anche se non lo vedevo da anni lo riconobbi subito. Era Vulcan, mio cane di infanzia, un grosso labrador nero, intelligente e fedele.
“Vulcan.” Sussurrai.
Le mie labbra faticavano a muoversi. Avevo l’impressione che fossero incollate. Il cane mi sorrise con gli occhi. Aveva gli occhi simili ai tuoi. Marroni con stelline gialle ed io mi rispecchiavo dentro …”
Rimango in silenzio assorta.
“Vorrei annegare per sempre in quel sguardo.” aggiunsi dopo un po’ incapace di liberarmi dai lacci di quel sogno.
Lui sospira la sua voce profonda mi circonda insieme alle ombre mobili della stanza.
“Di cosa hai paura Elena?”
Il fruscio leggero delle lenzuola mi avverte che sta cambiando la posizione. Mi stringo nelle spalle, ma non c’è incertezza nella mia risposta. Non c’è nessun dubbio.
“Di soffrire. Ho paura di soffrire …”
L’uomo si muove. Si mette seduto accanto a me. Il suo profilo si delinea chiaro contro la luce. Reprimo il desiderio di abbracciarlo, di affondare nel suo abbraccio, di nascondermi. Non mi è nuovo lo stato d’animo che provo: tutta la vita ho corso con il fiato corto in cerca del nascondiglio che mi avrebbe protetto.
“Non voglio farti soffrire.” Mormora con il volto nei miei capelli. La sua bocca avida cerca appoggio nelle mie labbra.
“Mi devi credere … non devi avere paura. Era soltanto un sogno”.
“Sei tu il mio sogno.”
La vigorosa stretta delle sue braccia, un po’ eccessiva forse, raccoglie i frantumi del mio essere in un pezzo unico. Un po’ ammaccato, è vero, ma comunque integro. Le schegge del passato si ritirano, scoppiando come le bolle di sapone. Attorno a me galleggia il suo profumo pulito, forte, deciso che invade il mio respiro e mi solletica le narici. Inspiro. Rovescio la testa all'indietro e lo attiro nella caduta. Stavolta decido di non restare inerte.
“Ti voglio.” Gli dico. “Ti voglio … ora ...”
“Amore mio!”

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