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Sul terremoto di Amatrice

di Lidia Novello
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Pubblicato il 31/01/2017 19:28:46

Lo sentivo.Dentro bisbigliavano assidue e disconnesse forme rivoltanti come farfalle in paranoia,colpite dallo scalfito sovrumano e solenne del giorno buio , sotto ad un tuono. Era forse un sogno?Intatto,scorrevole,era forse un paragone dell`essenza con ciò che noi umani non possiamo dire né dimostrarci?Era la notte cupa che aveva emesso un boato o il tristemente agnostico nulla?Era forse l`imperturbabile potenza del Padre dei cieli che ancora si imponeva su gracili creature nella loro insana indifferenza? Che poi insana o dolce non lo so dire.Forse è dolce mitigare in un orientale nirvana d`insapute e misteri,mentre in un giorno o una notte mite e senza torpedine, non attendi che il mesto giaciglio dopo le fatiche di una giornata come tutte le altre, o lo scabro del sogno più celato ti inietta il dolce veleno lattiginoso mostrandoti,attraverso il sogno,su una sottosuperficie latente, quella onirica ricca di stravolgimenti che ti caricano la mente per trovare una risposta al tuo subconscio. Così,sopra ecatombi di lava potresti trovare sfaceli ,eruzioni vulcaniche,persino uccisioni delle persone a te più care.Oppure un boato. Ma un boato franoso,persino agghiacciante, un canto melico dello strumento più fragoroso che possa esistere, senza un artista che mediti il suo litaniare mentre lo esegua né le immagini che,piano piano, frutto della mia mente vuota di visioni, io stessa riuscivo a pensare. 

-Fuori tutti!- 

Un grido,peggiore di qualsiasi rombo maledetto,mi si accostava all`orecchio e mi si imponeva quasi come uno zufolo scadente ma più armonioso sotto il trambusto stonato del primo.

Lo avvertivo però come un allarme,che cercava a sua insaputa,mentre rompeva i dolci sollazzi della mente, di prevaricare sul boato infinito e ormai divenuto galattiginoso per i miei neuroni.Sotto di me,un traballo ninnoso mi ricordò dov`ero.

Mi alzai di scatto,allarmata.Vidi qualcuno vicino a me che stava per scuotermi.Era mio marito Leo,diceva di prendere le scarpe e fuggire.Subito , adocchiando i tristi presagi che la notte malvagia e dolce aveva voluto celarmi,lo presi per mano e fuggimmo nel corridoio retrostante. Lì,sopra di noi,il battiscopa della porta ci riparò finquando non potemmo non capire che il tremore allarmante si stava intensificando per gravità. Spaventata,tirai Leo per una mano e lo condussi attraverso tutto il corridoio,fino alla parte estrema di esso. Lì aprendo la porta,ci investì frontalmente uno sporgente appena caduto dalla facciata della casa. Il mio viso e quello di Leo grondarono di pallore:lì fuori, ignavi di tutto ciò che era capitato oltre ai tremori sotterranei, gli alberi del vialetto erano stati sdradicati ed il tetto del vecchio fattore era sgretolato da un lato, il muro intonacato increpacciato, la gente fuori che urlava. Tutto pullulava di boati.Due secondi dopo aver visionato,Leo mi aveva con celerità trascinata fuori dal viale, passando per la zona erbosa,e condotta fuori dalla proprietà. Mi resi conto che era emerso,dal nulla un altro boato e si univa a quello della gente disperata .Alcune madri spaesate e sconvolte stringevano i figlioletti impauriti in coperte correvano rischiando di stramazzarsi con i piccoli sul petto,i grandi ad aggrapparsi alle loro gonne. Persino il coraggioso Manuele, che a undici anni si sentiva un ometto in grado di non impaurirsi nemmeno dei galli neri e beffardi del fattore,adesso si  teneva stretto al braccio della madre,con la paura di tutti i bambini della sua età .Gli animali schiamazzanti del pollaio fuggivano all`impazzata e chi, con pena del fattore fuggitivo,era caduto sotto i detriti. La nostra casa ci crollò dietro le spalle,mentre fuggivamo.Non avemmo il tempo , nemmeno per guardala da lontano.Altri boati furono i primi pianti,le richieste di soccorso,la gente che,non risvegliata dalla notte cosciente che aveva avvertito solo me e forse pochi,aveva già perduto le case,gli amici e pure i figli.

Era questo il boato onirico, nel vuoto di una visione quasi introspettiva,recondita,manifestata non in forma atroce né latente: era nascosta,accantucciata nella canicola del Thanatos che cercava di essere sconfitto, che voleva essere esacerbato ,che le forze oscure del mio inconscio facevano apparire come un fischettio dei Campi Elisi,in cui viveva anche chi non era nato,dove la fatalità di quel momento, la notte, era solo longivamente intravisto, dove tutto si cullava sotto l`effetto melato di Morfeo.

Tutto era invece dilaniato. 

Al mio risveglio dal terrore, nel quale la mia mente sapientemente aveva immortalato i fotogrammi di ciascuna persona vedevo precipitare nell`abisso, o le membra scacciate sotto i tetti che ne celavano le fattezze, o il portico senza più la sua stoa` , il campanile diroccato di fronte a noi( non so come abbiamo fatto ad evitare i morsi delle Eumenidi che piansero solo per Euridice...).

E fra ogni strapiombo ,ogni lamento confuso fra altri lamento-boati,fra i diroccati sospiri di una chiesa che chiedeva soccorso ma i suoi sermoni erano ormai lancinanti di un dolore di morte e distruzione, dove era quel lontano suono fragoroso che avevo sentito poco prima? 

Un immenso caos mi pervadeva.Pervadeva tutti,vivi,feriti sotto le macerie , e chi stava emettendo l'ultimo secondo di sospiro (ad ogni botto,temevo che già stesse per annullarsi un`altro uomo...).

Non era che l`assalto all`uomo, l`affermarsi di una natura crudele che chiedeva in ostaggio,senza considerarazione, il suo carnefice.

 

 

 


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