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Sotto un cielo così azzurro

di Stefano Ficagna
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Pubblicato il 21/08/2017 17:52:10

“Non puoi rinunciare alle speranze solo perché sei senza speranze, devi insistere, tapparti le orecchie e fare LA-LA-LA-LA-LA-LA-LA!”
Philip J. Fry, Futurama

Lei entrò in salotto in vestaglia, ancora un po' assonnata. Vide il marito seduto sulla solita sedia, intento a sorseggiare il suo caffè mentre sfogliava con interesse il giornale. Non fece particolarmente caso a lei, né la donna gli diede più di una rapida occhiata: quello era il suo momento di relax prima di andare a lavoro, ed era abituata dal tran tran di coppia di anni a non disturbarlo...solo si chiese, come ogni mattina, quale piacere provasse nel leggere sempre le stesse notizie. Andò alla finestra e guardò fuori di malavoglia.
“Nevica ancora”, disse distrattamente. Ci era abituata, ma ogni giorno sperava di non vedere quello spettacolo.
Lui alzò lo sguardo con una strana espressione, dove un vago stupore si mischiava ad un fremito di dolore. Lei non lo vide, intenta ancora ad osservare fuori dalla finestra, ed il marito fece così in tempo a rilassare i muscoli facciali. Una parte dell'agitazione provata poco prima però gli rimase dentro.
“Non durerà, vedrai.” Voleva rassicurarla, ma disse quelle poche parole con un tono più secco di quanto fosse sua intenzione. Mentre tornava al suo giornale, meno assorto di prima, vide con la coda dell'occhio lei che si voltava.
“Non intendevo dire...so che state facendo il possibile per migliorare la situazione...”. Teneva gli occhi bassi, nascosti dalla frangia bionda, come se si sentisse in colpa per quelle poche parole pronunciate distrattamente. Quando rialzò timidamente lo sguardo lui la stava fissando con un ampio sorriso: la tensione di poco prima sembrava sparita dal suo sguardo, e la sua ampia fronte non recava più i segni della preoccupazione che le rughe d'espressione vi disegnavano poco prima. Si alzò e le andò accanto, abbracciandola e baciandola sul collo mentre si volgeva assieme a lei verso il panorama esterno.
La moglie rialzò lo sguardo verso la landa desolata che le si piazzava di fronte. Piccoli frammenti di cenere cadevano dal cielo, rendendo ancora più triste il panorama nebbioso che impediva quasi allo sguardo di vedere le case vicine. Non che questo fosse un gran problema, se non altro quella perenne foschia le impediva di vedere la devastazione del cataclisma che si era svolto solo pochi mesi prima: 'incredibile come ci si abitua a tutto', pensò distrattamente mentre alzava lo sguardo verso il marito.
Anche lui guardava fuori, socchiudendo gli occhi mentre osservava tutto attorno. “La bonifica del territorio sta occupando più tempo del previsto, ma stiamo facendo progressi. Vedrai che fra non molto riuscirai a vedere il sole come un tempo, siamo gente in gamba e non ti prometterei mai qualcosa senza essere sicuro di poterla mantenere.” Si allontanò dalla finestra sempre cingendola con un braccio, coprendosi gli occhi con l'altra mano. Lei alzò lo sguardo verso la sua faccia, sorridendo rasserenata a quel gesto: 'sembra che riesca già a vedere il sole di cui parla’, pensò, ma il suo sorriso scemò quando fece caso alla cassapanca vicino all'ingresso. Si staccò dolcemente dall'abbraccio del marito, timorosa di metterlo nuovamente in apprensione ma senza poter frenare l'impulso che sentiva in corpo. Passò un dito sul mobile, lasciando una scia dove poco prima c'era uno spesso strato di polvere grigia, quindi rimase per qualche secondo a fissare il suo dito sporco.
Anche lui si rabbuiò. “Sai che le polveri non sono pericolose...non più. Dicono...”
“Lo so cosa dicono”, lo interruppe lei, con un tono che esprimeva però comprensione. Alzò lo sguardo verso di lui, cercando di condividere il suo ottimismo verso il futuro, ma i suoi occhi verdi non riuscivano ad esprimere la stessa serenità che voleva ottenere col timido sorriso che gli affiorava sulle labbra. Conscia di ciò riabbassò lo sguardo timidamente. “E' solo che è così frustrante...pulire continuamente solo per vedere di nuovo tutto questo grigiore depositarsi.”
Lui avrebbe voluto dire qualcosa per ravvivare il sorriso che le si era fissato in volto poco prima, ma vide dall'orologio appeso al muro che era ora di uscire. Volse lo sguardo verso la sedia su cui era seduto poco prima e si apprestò a vestirsi.
“E' ora di andare”, disse semplicemente.
Lei non sentì il bisogno di replicare. Lo osservò mentre si apprestava ad indossare la tuta gialla, sicurezza obbligatoria per chiunque si avventurava all'esterno nonostante il livello di radiazioni fosse ormai sceso a livelli sopportabili: si chiese ancora una volta, comunque, come facesse a trovare il coraggio di affrontare la desolazione là fuori, e si sentì inadeguata rispetto a lui. Suo marito cercava di migliorare il mondo, mentre lei non faceva altro che pulire costantemente una casa che si sporcava nuovamente dopo poche ore. Lui sentì che lo sconforto si stava impadronendo di sua moglie, con quella sorta di telepatia che si sviluppa fra persone abituate a condividere gioie e dolori della vita, e le si avvicinò alzandole il viso con la mano. I loro occhi si incrociarono, e quelli neri e rassicuranti di lui riuscirono a calmare un po' l'agitazione che la stava avviluppando fra le sue spire.
“Ora vado a migliorare un altro po' il nostro mondo”, le disse con un sorriso sincero, poi la baciò dolcemente sulle labbra. Quando si staccò da lei notò con piacere che la sua espressione era più serena.
“Stai attento, mi raccomando.” Cercò di assumere una espressione seria, ma sapeva che lui era ben più conscio di lei dei pericoli che si annidavano là fuori: le uscì una semplice smorfia da bambina, ancora influenzata dal sorriso che lui era riuscito a strapparle poco prima. Lui avrebbe voluto ridere di quella espressione di finta gravità, ma non riuscì ad andare oltre un sorriso mentre mimava un saluto militare.
“Sarò cauto come non mai. Buona giornata, ma chère!”, concluse in un francese stentato. Il sorriso di lei si allargò a quelle parole, e resistette all'immagine di lui che si fissava in testa il casco protettivo. Quando si voltò per uscire, strizzandole l'occhio con fare complice, la sua espressione era ancora serena: aprì quindi la porta con meno patemi d'animo di quelli che aveva provato poco prima, e si apprestò ad andare a lavoro.

Si richiuse la porta alle spalle, e si stupì in un attimo del caldo che si provava all'esterno. Il sole che lo aveva accecato poco prima alla finestra batteva in maniera impressionante per essere solo metà marzo, ma la tentazione di togliersi la giacca ed il cappello di feltro che portava non lo sfiorarono minimamente. Si avviò verso la macchina, parcheggiata poco lontano, immerso nei pensieri che lo attanagliavano ogni mattina da qualche mese, salutando distrattamente i vicini mentre passava vicino alle villette a schiera della loro tranquilla via residenziale.
Tutto era cominciato l'autunno precedente. Mentre era in ufficio in città una fuoriuscita di gas dalla raffineria vicino casa aveva costretto le autorità a mettere in sicurezza la zona, costringendo gli abitanti a chiudersi in casa per prudenza. L'allarme durò poche ore, e quando rientrò era già tutto finito: ma non per sua moglie.
Si era chiesto per mesi come avesse potuto ignorare il frantumarsi della mente di lei, come avesse potuto essere cieco di fronte ai cocci del vaso di Pandora che, andando in pezzi, l'avevano portata verso la follia. Quando era giunto a casa, quel maledetto venti di ottobre, l'aveva trovata riversa al suolo priva di sensi, ma con gli occhi sbarrati che vedevano qualcosa che andava oltre la sua comprensione. Nella mente di lei l'allarme che risuonava dalla raffineria, le autorità che sgombravano le strade e quella fitta nebbia che aveva reso la tranquilla via residenziale spettrale come quella di una città fantasma erano stati i segnali di un disastro di proporzioni ben più ampie: quando si riprese, dopo giorni catatonici, per lei il mondo era andato incontro alla fine.
Era stata in cura per più di due mesi in ospedale, seguita da psicologi che continuavano a formulare teorie senza riuscire a guarirla dalla sua allucinazione ad occhi aperti. C'era voluto più di un mese solo affinché lei percepisse la presenza del marito al suo fianco, ma quando gli rivolse la parola lo fece come se lui non se ne fosse mai andato. Quando alla fine la dimisero, arrendendosi all'impossibilità di aiutarla ulteriormente, lui si fece carico della decisione di tenerla a casa piuttosto che rinchiuderla in una clinica. Sordo ai consigli di medici che non erano riusciti a curarla e di amici che non potevano capire appieno il loro legame, decise che solo rinsaldando il loro amore avrebbe potuto aiutarla. 'Lei non è pazza come dicono', pensava, 'è solo...altrove. E io posso riportarla indietro.'
Arrivato a distanza di sicurezza da casa si tolse la giacca ed arrotolò le maniche. Non sapeva esattamente cosa vedesse lei coi suoi occhi, ma non voleva farle pensare che si potesse essere tolto le protezioni mentre era perso in quel futuro post-apocalittico che persisteva solo nella sua mente. Mentre passavano i mesi invernali lui diventava complice di quella visione, cercando però di portarla costantemente verso un miglioramento costante: la scoperta di altri sopravvissuti, i piani per rendere respirabile l'aria, il suo costante lavoro per migliorare la situazione...piccole bugie che servivano a rendere vivibile il mondo in cui lei si era persa, e che lo modificavano costantemente.
Era convinto di averla persuasa, negli ultimi giorni, della fine delle nevicate di cenere. Quando quella mattina si era affacciata alla finestra, e gli aveva annunciato una nuova 'perturbazione', non era riuscito a frenare il suo sconforto: mentre la abbracciava avrebbe voluto piangere, tanta era la differenza fra il sole che gli bruciava gli occhi ed il panorama spettrale che poteva solo immaginare abitasse nella mente di lei. Ma si era fatto forza, come sempre, convinto che prima o poi sarebbe riuscito a riportarla alla realtà, certo che quel suo approccio al problema non fosse un blando accondiscendere alle sue fantasie bensì l’unico modo per proteggerla da nuovi shock che l’avrebbero fatta smarrire definitivamente nelle sue fantasie. Mentre guidava verso l'ufficio, verso una noiosa giornata di lavoro, già pensava a cosa raccontare alla sua amata moglie per riavvicinarla un po' di più a tutti loro...e per fare ammenda della sua cecità di fronte ai problemi di lei, quei problemi che aveva ignorato fino a che non era stato troppo tardi. 'No', pensò, 'non troppo tardi. C'è ancora speranza.'

Vide scomparire il marito nella nebbia, come ogni mattina. Le si prospettava l'ennesima noiosa giornata di pulizie, l'unico modo che aveva per far scorrere il tempo in attesa che lui tornasse e le illustrasse ciò che avevano pianificato e messo in atto per rendere il mondo un posto di nuovo abitabile. Si sentiva inutile, ma lui faceva di tutto per non farle pesare la situazione: si complimentava con lei di ogni pietanza che gli serviva, di quanto riuscisse a rendere splendida la casa nonostante la cenere si infiltrasse ovunque...la faceva sentire speciale, in poche parole. Avrebbe voluto poter fare lo stesso per lui, ma il massimo che le era riuscito di fare era stato rabbuiarlo quella mattina con la sua inopportuna considerazione sull'ennesima nevicata cinerea. 'Che bisogno c'era di farglielo notare?', si rimproverò, 'non se ne sarebbe accorto forse da solo una volta fuori?' La colpa che provava per quella piccola ed inopportuna puntualizzazione era però niente rispetto alla perversa gratitudine che provava ogni qualvolta lui la guardava intensamente, vedendola come non accadeva da tempo...la gratitudine verso la catastrofe, per aver riportato nel suo microcosmo una serenità che il resto del mondo aveva perduto. Era un sentimento strano, per cui provava vergogna ma in cui non riusciva a non crogiolarsi.
Perse un poco di tempo alla finestra prima di cominciare a mettersi a svolgere le sue consuete faccende domestiche. Prima di allontanarsi rivolse lo sguardo verso un angolo della casa, un angolo nascosto su cui lo sguardo del marito non si posava mai. Guardò con un timido sorriso i piccoli fiori blu che si stagliavano fra tutto il grigiore, un blu che era diventato il colore della speranza che rifioriva in lei. Non ne aveva ancora fatto parola al marito, timorosa di quel piccolo miracolo, ma sapeva che non avrebbe potuto mantenere a lungo quel segreto: il mondo attorno a loro stava cambiando, e la natura rifioriva come il loro legame finalmente rinsaldato.

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