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Due piccole piume

di Franco Bonvini
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Pubblicato il 18/01/2018 10:56:13

Andavo verso la stazione.
La sconosciuta invece si dirigeva al bar Principe, il più rinomato del paese, proprio vicino alla stazione da cui era uscita.
Era uno schianto, tutti se n' erano accorti, ma aveva un' aria così familiare che le andai incontro a braccia aperte dicendo finalmente sei arrivata! T' aspettavo con ansia.
Stranamente aprì le braccia, per un abbraccio stretto. I seni erano due cerchi contro il mio petto e sussurrò Ho dei compiti da svolgere qui al Principe ma passa più tardi, avrò finito.
Sorse il dubbio che davvero la conoscessi e magari era per quello che stavo andando alla stazione vista l' aria familiare e la mia famosa memoria oppure se era solo una gran paracula e stava al gioco per prendermi in giro.
Girai un po' per il paese, ma il paese cambiava di continuo, ora ero davanti alla casa di ragazzo, qui e subito dopo a quella d' infanzia, dentro le mura di Como. Passavo dalla Mole Antonelliana alla torre degli asinelli per poi arrivare davanti al Colosseo, e continuare fino a trovarmi intrappolato nel caos del traffico milanese.
C' era una strana fretta di trovare un parcheggio per fermarmi a controllare se fosse l' ora non detta dell' appuntamento, strana perchè l' orologio era ben visibile, in bellavista nel cruscotto dell' auto.
Il primo posteggio libero l' ho trovato proprio davanti al Principe. E lei era lì, sul marciapiede, in attesa, mi abbracciò di nuovo e disse Ho una cosa da mostrarti ma solo quando saremo a casa.
E in un attimo fummo a casa, solo che non era la mia, e non credo neanche la sua visto che era arrivata in treno da un posto lontano.
Era una specie di mansarda col tetto a punta fatto di travi di legno, come uno chalet.
Sì, ecco, proprio uno chalet, mamma ne aveva uno così che sotto il tetto nascondeva gioie, e quella che avevo tra le braccia era una gioia. Sdraiata su un fianco, forse solo sulle mie braccia, appoggiava il viso, che accarezzavo, al mio petto e mi guardava.
Mi guardava lasciar scendere la mano e farla scivolare nei pantaloni, sopra le mutandine. Aveva pelle liscia di bambola sotto ma quando cercai di scostarle un po' disse No! No, non toccarla, non toccare, tocco io ogni due minuti. Disse proprio così e non so se ero più stupito per la volontà di non essere toccata o per i due minuti visto che i suoi tocchi erano molto più frequenti.
Mi si affacciò il tempo,  come  un enorme rotore d' elicottero e i due minuti erano il passo ciclico delle pale e diventavano ore o attimi secondo la velocità del rotore. E tra ogni passo un attimo.
Iniziò a muoversi, sensuale, spalancando la bocca e chiesi cosa stesse facendo..
Gli faccio l' amore fu la risposta e si vedeva che era felice, non era più con me ma era felice.
Poi venne e piangeva di gioia dicendolo e ripetendolo fin che mi baciò.
La lingua era fresca, umida e aspra mentre la stanza invece si faceva sempre più calda.
Non ci facemmo l' amore.
 
Perchè fu lì che mi svegliai, il display sopra il letto diceva che erano passate da poco le tre, altro appuntamento ciclico ormai..
Non so quanto rimasi sveglio a raccontarmi il sogno dall' inizio, una volta , due volte , tre.. come per tenerlo vivo e portarlo ancora nel prossimo sonno.
L' ultimo pensiero però fu domani non ricorderò nulla.
Non venne più nel sonno seguente, non l' ho più vista ma al risveglio c' erano due piccole piume sulla manica del maglione appoggiato al comodino.
Allora è proprio qui, invisibile, in questo Verooggi e sta aspettando due dei suoi variabili minuti.
Potessi accelerare, fino a che i minuti si azzerino, e dagli attimi tra uno e l' altro scocchi una scintilla a unirli in uno solo eterno.
Sarebbe sempre qui.
O fermare il rotore e lasciarla là per sempre.
Ma non si può, gira veloce o lento come il tempo.
 
Tornerà appena può.

 


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