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di Arnaldo Lovecchio
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Pubblicato il 10/02/2018 19:02:27

Il giorno in cui Ahmed sarebbe morto iniziò come uno qualsiasi. Il sole splendeva radioso in cielo e non c’era nemmeno il più leggero alito di vento. Ahmed si alzò dal letto e si mise a pregare; ringraziò Dio per tutto quanto gli aveva concesso e gli chiese perdono per ciò che stava per fare. Quel giorno avrebbe lanciato un messaggio che nessuno avrebbe potuto ignorare. Dopo aver adempiuto ai suoi doveri religiosi, preparò quella che sarebbe stata la sua ultima colazione. Mangiò con calma, ma il cibo non aveva più alcun sapore. Quando ebbe terminato, tornò in camera da letto e si vestì. Infine si assicurò che la pistola fosse carica. Diede un’ultima occhiata al suo appartamento e alla foto di sua moglie e di sua figlia, poi uscì di casa. Salì in macchina e si diresse verso la sede della Camera dei Legislatori. Malgrado il traffico, Ahmed proseguì con serenità verso la meta, con la consapevolezza che niente e nessuno poteva fermarlo. Per un attimo lo sfiorò il pensiero di sua figlia, ma lo scacciò via immediatamente. Non poteva concedersi ripensamenti. Quando ormai era quasi giunto a destinazione, fermò l’auto. Scese e percorse a piedi l’ultimo tratto di strada. Si fermò in un angolo e rimase in attesa del suo bersaglio. C’erano già i giornalisti, senza dubbio in attesa di porre le solite domande inutili. Dopo circa dieci minuti vide arrivare l’auto del ministro. L’uomo era accompagnato da alcune guardie, ma Ahmed non si preoccupò. Mentre il ministro rispondeva alle domande dei giornalisti, Ahmed gli si avvicinò con naturalezza. Sembrava che nessuno badasse a lui, come sempre. Ahmed chiuse gli occhi e prese un bel respiro. Tutto intorno a lui divenne silenzioso. Poi riaprì gli occhi e, fulmineo, estrasse la pistola. Le guardie del ministro lo notarono troppo tardi.

“Signor ministro, mi guardi!” urlò Ahmed. Il ministro si voltò verso di lui, mentre le guardie direzionavano le armi verso di lui.

Ahmed si puntò la pistola alla tempia e sparò.

Il telegiornale raccontò la sua storia. Raccontò di come Ahmed fosse rimasto senza lavoro, di come sua moglie lo avesse lasciato, portandosi via la loro bambina. Uno psichiatra raccontò di come il suo gesto fosse stato certamente dettato dalla disperazione. Il ministro, che lo aveva visto morire, promise che una cosa del genere non sarebbe mai più successa, che lo Stato non avrebbe mai abbandonato i suoi cittadini bisognosi.

Qualche giorno dopo, Ahmed era già dimenticato.


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