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Chef

di Danilo Catalani
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Pubblicato il 29/04/2018 18:13:43

-          Ci vedi?

-          No, non vedo nulla. Giuro.

-          Non giurare. Nella nostra attività non c’è spazio per la menzogna, quindi neppure per i giuramenti. Sei pronto per cominciare?

-          Sì.

-          Mi raccomando, non spostare la benda. Questa è la prova decisiva. Lo comprendi?

-          Sì, chef, lo comprendo.

-          Cominciamo. Apri la bocca. Mastica lentamente e rifletti prima di rispondere; non c’è la possibilità di essere precipitosi, per noi la precisione è tutto. Cosa senti?

-          Carne bianca.

-          Bene, poi?

-          Pollo, a giudicare dalla consistenza. Ben cotto. La giusta dose di aceto.

-          Spezie?

-          Cumino, direi. E Paprika al posto del peperoncino.

-          Ottimo. Andiamo oltre, parlami dell’animale. Cosa vedi?

-          Vedo un’aia. Aria aperta, sole. Non è il pollo da batteria, è allevato a terra. Non c’è sapore di paura o di infelicità. È vissuto bene, è morto bene.

-          E quindi?

-          Falanghina Beneventano, direi.

-          Mhf. Ci sta. Potresti osare di più, ma va bene il Falanghina, meglio non strafare. Mai strafare. Devi essere sempre sicuro di non commettere errori. Lo comprendi?

-          Sì, chef.

-          Ancora. Dimmi.

-          L’odore del vino è forte. Carne rossa. Vitella.

-          Ottimo.

-          Lasciata a macerare per una settimana almeno nel Cannonau di Sardegna, con pepe nero e bacche di ginepro.

-          Eccellente, ragazzo. Poi?

-          Poi grigliato sul barbecue. Ma…

-          Ma?

-          Ma a carbonella, non a legna. Che peccato, si sente il gusto dell’accendifuoco chimico. Ottimo il Grana e la ruchetta. Perfetta la cottura.

-          Bene. Cosa vedi?

-          Vedo l’orrore, chef. Vedo animali allevati in celle, incapaci anche di camminare a causa delle gabbie anguste. Animali coltivati, non allevati, nell’angoscia e nel loro stesso sterco.

-          La fine? La senti?

-          Sì, chef. Terribile, ma accettata con sollievo, dopo una vita così.

-          Paura?

-          Sì, chef, la paura è il gusto dominante. La macerazione nelle spezie non è riuscita a camuffarla neppure un po’.

-          Bene. Quindi?

-          Stesso vino, chef. Cannonau. Primo perché non si mischiano i vini, secondo perché rafforzare il gusto del vino aiuta a soffocare quel gusto di paura.

-          Eccellente. Bevi un po’ d’acqua e prenditi un momento, prima di continuare.

-          Sono pronto, chef.

-          Bene. Annusa.

-          Aroma dolciastro, sicuramente carne rossa. Cavallo, direi.

-          Non mi fare incazzare. Il condizionale non esiste nel nostro lavoro. Né esistono approssimazione o avventatezza. Se non sei sicuro che quella che stai per dire è la verità devi tacere.

-          Mi scusi chef.

-          Non scusarti. Ora assaggia. Cosa senti?

-          Aglio, forte. E peperoncino Habanero. Ottima combinazione col dolce della carne.

-          Allora… cavallo?

-          No, chef.

-          Dimmi perché no.

-          Niente fieno, o avena.

-          Cosa senti?

-          Latte.

-          Latte? Concentrati.

-          Latte e caffè. Cappuccino. Zucchero. Lievito, burro… forse cornetto.

-          Forse?

-          No, chef. Sicuramente.

-          Bene.

-          Della morte? Che mi dici?

-          Inaspettata. Niente paura. Niente dolore.

-          Certo, nessun dolore. Non avrei mai potuto farti questo affronto, lo comprendi?

-          Lo comprendo, chef…

-          Lo comprendi… però?

-          Però… perché Anna?

-          Perché Anna. Bravo. Rispondi tu.

-          Io…

-          Tu cosa? Non saranno lacrime quelle che bagnano la benda, vero?

-          No chef. È sudore.

-          Sudore… ti voglio credere. Perché Anna. Perché in quello che facciamo noi non c’è spazio per una compagna. Le donne tirano fuori il meglio o il peggio di noi. E se tirassero fuori il meglio come potremmo fare quel che facciamo? Dimmi…

-          Non potremmo, chef.

-          E se tirassero fuori il peggio di noi?

-          Lo attirerebbero su di loro, chef.

-          Bravo, ragazzo. Sono sempre più convinto di aver scelto bene il mio erede. Ma c’è dell’altro. Siamo dei volgari assassini?

-          Certo che no, chef.

-          No, infatti. Il punto non è uccidere, è la conservazione, la stagionatura, la cucina, la presentazione, gli accostamenti… Comprendi?

-          Comprendo, chef.

-          Con molta attenzione potresti sfuggire per anni alle migliori polizie del mondo. Ma una moglie… prima o poi ti scoprirebbe, e cosa dovresti fare, allora?

-          Ucciderla.

-          Già. Ma non è bello uccidere la propria moglie, ragazzo, io lo so.

-          Grazie chef.

-          Prego ragazzo. Sono molto orgoglioso di te. Saresti il migliore, nel nostro campo, se non ci fossi io. E lo sarai quando non ci sarò più. Sei il figlio che non ho potuto avere.

-          Grazie chef.

-          Bene. Ora dimmi l’ultima cosa che voglio sentirmi dire da te.

 

-          Nero D’Avola.


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