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Capri revolution

di Mauro Milani
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Pubblicato il 02/01/2019 10:17:56

Capri revolution.

Un gruppo di yippie ante litteram arriva a Capri a inizio ‘900 e ne fa la propria patria d’elezione. Non è difficile immaginare il perché e lo si capisce subito dalle immagini bellissime che punteggiano tutto il film.
Anche se l’impatto sulla popolazione è praticamente nullo, fatta salva l’ovvia curiosità, su una ragazza dell’isola è un detonatore.
La sua voglia di libertà, di cambiamento, di apertura ad un modo diverso d’intendere la vita uscendo dalla grettezza nella quale è stata rinchiusa fino ad allora come capraia e donna destinata al matrimonio sistematore, proprio e della sua famiglia, porta Lucia sempre più vicino al gruppo fino a farne parte.
Presunti riti dionisiaci, psicanalisti quasi tutti fai da te, primo uso di droghe, scoperta dell’India e della sua cultura, vista come salvifica e liberatoria, caratterizzano il gruppo di “ragazzi perbene” (letterale nella sceneggiatura del film) che, come tanti anni dopo i più famosi yippie, cercano una risposta intimistica e metafisica ai propri problemi esistenziali.
Sullo sfondo del primo grande massacro mondiale, visto dal buon senso popolare come una tragedia e da tanti radicali di sinistra come l’occasione per far cadere il dispotismo austro-tedesco e cambiare il mondo a favore dei lavoratori, il gruppo attraversa varie crisi fino alla rottura finale dell’equilibrio fittizio creatosi proprio attraverso le critiche di Lucia, la capraia che ha intanto imparato a leggere e, attraverso la cultura, utilizzato la propria intelligenza per guardare e affrontare il mondo senza sentirsi meno libera.
Bellissima, a questo proposito, la scena dell’incontro con la madre che ha compreso la voglia di libertà della figlia e che le confessa la sua partecipazione ideale. Di sicuro, avendone avuta la possibilità, anche la madre avrebbe fatto di tutto per conquistare la propria libertà, se ne avesse avuto la possibilità.
Ottima la scelta di far parlare gli abitanti del luogo in napoletano. Non il solito stereotipo dialettale al quale troppo spesso ci hanno abituato con finalità sminuente ma come una vera e propria Lingua, quale effettivamente è.
Un equilibrio, tanto cercato dal “maestro”, che si rompe in maniera plastica attraverso l’indicatore che lo stesso aveva inventato per verificarlo.
Una storia struggente di libertà negata e false liberazioni anche in un mondo idilliaco nel quale comunque arriva la Storia attraverso l’attracco in porto di una grande nave da guerra che viene a prelevare le reclute per il grande massacro.
Un esempio, fra i tanti della storia, nel quale non è fuggendo dalla realtà e nemmeno con l’introspezione che ci si libera di una società violenta e stritolatrice dove l’uomo serve solo come capraio, contadino, operaio all’altoforno o massacratore di altri suoi simili. E non è solo la volontà individuale a poterla rivoltare. E Lucia non scappa ma si libera anche di falsi miti e affronta una nuova vita oltre il mare, in un ovunque la voglia di libertà abbia bisogno di un guerriero o, semplicemente, di una capraia che rifiuta il gregge per non divenirne parte.

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