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Ci vediamo per le scale

di Paola Sestieri
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Pubblicato il 02/01/2019 11:00:01

Ci vediamo per le scale

Non vuol dire niente per molti, vuol dire tutto per noi che vivevamo sul marmo freddo delle scale di un palazzo di periferia. Al ritorno da scuola - ci vediamo per le scale - questo era il nostro saluto, avremmo pranzato, organizzato i compiti per il giorno dopo, fatto qualche esercizio o tutti, non ricordo bene e poi lì, a quell’appuntamento, giornaliero, desiderato, atteso per fare tutto, per fare niente.
Io scendevo dal sesto piano, C saliva dal primo, S scendeva di uno e M rimaneva lì al quarto. Quarto piano, quattro bambine, con il mondo in mano, non avevamo niente, avevamo tutto. I sogni, il futuro rosa, bello, pieno, avventuroso, tenero, grande, mille altri aggettivi avremmo potuto attribuire a quello che sarebbe stato il nostro cammino, la nostra vita.
Fuori casa, chiuse le porte, lasciati i doveri, iniziava il nostro piacere, senza distrazioni, senza alcun fastidio, i nostri giochi di mamme, figlie, maestre, alunne, fidanzate, dottoresse. Tutto eravamo, tutto volevamo essere per provare le vite che avremmo scelto da grandi, quando saremmo diventate adulte. Quanto tempo sarebbe dovuto passare, quanta impazienza e che voglia di crescere subito, di essere autonome, indipendenti, di non dover dar retta a nessuno, solo a noi stesse, noi quattro, il mondo, il futuro, la vita, bella, solo bella.
Un giorno una signora provò a metterci in guardia - non sarà sempre così, la vita riserva grandi dolori, frustrazioni, angosce… non è tutto bello come credete -. Ma che vuole questa, dicevamo, ci guardavamo e quando lei si girava, a bassa voce e tra di noi sussurravamo: chi la vuole, chi l’ha mandata, perché non se ne va? Era la verità, ma non potevamo capire, troppo piccole, troppo ingenue, troppo ancora protette dal macigno della vita, dalle brutte avventure del fuori. Tutto il brutto era oltre quelle scale, all’aperto, oltre il recinto del cortile, c’era qualcosa di sconosciuto, che non immaginavamo e per ora ci era tenuto ben nascosto.
Heidi era il nostro mondo. E’ vero, Clara era sulla sedia a rotelle e ci dispiaceva, Pinocchio era entrato nella bocca della balena, anche quello non era tanto piacevole pensarlo, ma tutto era finzione, dunque, ci poteva anche stare.
Le scale erano fredde, pulite dai nostri vestiti fatti rigorosamente con le mani delle nostre madri, sante, pazienti, casalinghe, buone cuoche e anche belle. Erano assolate le scale, perché le finestre erano ampie e davanti c’era anche un grande prato talmente bello che conteneva anche mosaici dell’antica Roma. Noi ci andavamo a fare la cicoria, sempre con le nostre super mamme oppure per far merenda con pane e nutella, quando c’era la neve poi era uno sballo, ci divertivamo da morire, sempre tutto sotto controllo, sempre tutto meraviglioso.
Avevamo nove anni o forse dieci, sapevamo leggere, sapevamo scrivere, ritiravamo i libri portando le cedole in cartoleria e i nostri padri impiegavano un pomeriggio intero a rivestirli con una fodera plastificata, colorata o trasparente, facendo attenzione a far bene gli angoli e a lasciare la stessa quantità di fodera dietro la prima e l’ultima pagina del libro. L’etichetta completava l’opera, cognome nome e classe, ecco fatto.
Su quelle scale, sfogliavamo i nostri libri immacolati, sacri, pagina per pagina, ammirando i disegni e le fotografie; quanto mondo, quanta vita, un’infinità di nuove parole, il nostro linguaggio cresceva e noi con lui.
Dalle cornicette che ornavano le pagine dei quaderni ordinati passammo ai primi pensieri, alle prime associazioni, le prime conoscenze interessanti, i primi test sui ragazzini della classe, carino, sufficiente, piacevole, super.
Il super era super davvero, eravamo tutte d’accordo, capelli lisci biondi a caschetto, Davide, non molto alto, interessante, dimenticato dopo un giorno come tutti gli altri. E quanti, sempre nuovi, bellissimi, ricci, mori, capelli rossi, sempre i nostri test senza pietà, orribile e con segno rosso non durava nemmeno mezza giornata.
Le scale ci ospitavano ogni giorno, non si stancavano di sentirci ridere, non si stancavano delle nostre Barbie e di tutti i Ken e Big Jim che erano galantuomini dalla mattina alla sera.
Ci fu il tempo dei walkie-talkie, che invenzione! Stupendo! Potevamo parlare anche dalle nostre camere, io dal sesto piano chiamavo C del primo, poi S del quinto si metteva in contatto con M del quarto, che confusione, che tecnologia! Meraviglioso!
Il tempo passava e le situazioni cambiavano, i primi amori nascevano impetuosi e travolgenti, le prime delusioni portarono la paura, lo stordimento, il disorientamento, aveva forse ragione quella signora? Qualcosa cambiava sotto i nostri occhi, cambiavano i nostri occhi, lasciavano quel mondo fiabesco dove tutto era perfetto e non esistevano ombre.
Sulle scale iniziavano i nostri pianti, le nostre preoccupazioni, i dubbi ci assalivano, mettevamo in discussione ogni cosa, anche le nostre infallibili mamme non erano tanto infallibili e i nostri papà supereroi non erano più tanto super.
Il mondo ci crollava addosso, le nostre scale ormai erano gelate e non potevamo più restarci, iniziava la vera vita, quella fuori, quella oltre il cortile, dovevamo alzarci e abbandonarle, per sempre.
Iniziava l’adolescenza.

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