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Un viaggio lungo una vita

di Giulia Bellucci
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Pubblicato il 17/01/2020 08:17:27

Eravamo tutti lì ad attendere il momento della partenza verso una realtà ignota, ma non avevamo paura. Di certo io non ne avevo, questo lo so. Eravamo anime felici e l’unica cosa che ci turbava un poco era che non riuscivamo a comprendere la ragione di quel viaggio. Nostro padre aveva deciso così e sapevamo che era giusto perché lui aveva sempre fatto ciò che era giusto e necessario per i suoi figli.

«Chissà se ci incontreremo anche lì dove siamo diretti e staremo ancora insieme? Qualcuno dice che non potremo più ricordare nulla di ciò che siamo ora e quindi io credo che non saremo in grado di riconoscerci. Quando ritorneremo qui, perché dicono che alla fine si ritorna, forse ci ritroveremo ancora e staremo di nuovo insieme per sempre», disse uno dei miei fratelli, che mi stava più vicino degli altri.

«Per sempre!? Io comunque vi riconoscerò tutti ovunque, ne sono sicuro. Saremo fratelli per sempre, appunto!» gli risposi io.

Il tempo passava o meglio, non so come spiegarlo, tutto continuava a restare immobile. Eravamo illuminati da una luce dolce e amorevole, che effondeva felicità. Ne avevamo viste di anime partire, o forse sarebbe meglio dire che ci rendevamo conto delle partenze perché avvertivamo come uno spostamento d’aria intorno, un soffio di vento che si portava via qualcuno. D’un tratto comprendemmo che era giunto il momento di una partenza, perché sentimmo giungere un nuovo soffio. Il treno era pronto, e mi resi conto che era il mio turno solo quando ebbe effettivamente inizio il mio viaggio. 

Ora non potrei dire come fu o quanto durò...

Posso dire che mi ritrovai, forse all’improvviso o forse no, in una situazione di buio ma avvertivo però un calore confortevole sulla mia pelle ed ero circondato da acqua. Sentivo di non aver bisogno di nulla. Avvertivo a volte movimento, ma non mi disturbava e potevo sentire dei rumori e delle voci, che per me però erano totalmente indecifrabili. Era sicuramente una situazione nuova cui però mi abituai e mi trovai ben presto a mio agio. 

Ed ecco che dopo nove mesi, più o meno, il mio lungo viaggio di andata ebbe termine o inizio, dipende dal punto di vista. Era stato un viaggio che però aveva annullato in me la consapevolezza di tutto quello che avevo percepito prima. Ero come una lavagna su cui era stato cancellato tutto e che era pronta per essere incisa di nuovo. Mi sarei però reso conto successivamente che questa fase non era andata a buon fine ma qualcosa era andato storto, per cui ciò che era stato cancellato sarebbe tornato nel momento più impensato. 

Ma procediamo per gradi. Il buio a un certo punto si diradò e non fu piacevole per nulla, anzi fu una sensazione molto sgradevole, tant’è che non potei fare a meno di urlare giacché venendo alla luce provai freddo, dolore e paura. La mia paura fu originata da un urlo che sembrava provenire da una belva della foresta più selvaggia. Ad urlare era stata quella che conobbi come madre, ossia il treno che mi aveva condotto nel nuovo posto.

Pian piano mi abituai anche a questa seconda nuova situazione, amai i miei genitori, mamma e papà, e i miei nuovi fratelli, cioè una sorella e un fratello. Imparai a vivere, amare, essere felice, sensazioni che non erano neppure paragonabili a quelle corrispondenti che avevo provato in precedenza e che erano state cancellate in me. Imparai anche a soffrire, provare dolore, odio, gelosia, desiderio sfrenato di individualità, egocentrismo, invidia, sentimenti che invece prima del viaggio non esistevano. E l’insoddisfazione accompagnava i miei giorni. E mio Padre!? Quello originario? No, di lui non mi ricordavo più. Mi fu inculcato il concetto di Dio, forse un surrogato della reale figura paterna. Il mio sguardo non andava oltre ciò che vedevo e toccavo. Desideravo soddisfare solo i miei bisogni fisici.

Ebbi un discreto successo nella mia vita e questo appagava il mio ego. La felicità però durava poco poiché era molto eterea e così rincorrevo sempre qualcosa, che potesse regalarmene di nuove.

Poi un giorno ci fu un accadimento che pose termine all’errore in cui stavo vivendo.

La mia vita procedeva a gonfie vele, per usare un termine marinaresco, ed io ero diventato un imprenditore affermato. Vivevo in una villa tutta mia, grande abbastanza da potervi ospitare una decina di persone comodamente e in modo definitivo. Ognuno avrebbe potuto avere la sua stanza singola e poi c’erano quattro bagni e persino una piscina. In realtà a pensarci bene era un vero spreco perché io vi vivevo da solo. Ogni tanto mi accompagnavo a qualche bella donna: qualche attrice o qualche modella, o altro. Restavano per dei giorni e poi io tornavo libero a godere della vita.

Un giorno, rientrando, trovai proprio vicino al mio cancello una donna che elemosinava. Era sicuramente una rom e aveva vicino a sé un piccolo moccioso.

«Dammi qualcosa per comprare un panino al mio bambino!» disse con uno sguardo implorante.

«Ma perché non te ne vai a lavorare visto che vuoi mangiare e anche fare figli? Te li devono crescere gli altri i figli?» gli risposi con tono sprezzante, mentre attraversavo il cancello. Non mi voltai indietro, non mi fermai e non mi importò nulla di quella che sarebbe stata la sua reazione.

Dopo qualche giorno ricomparve di nuovo, stessa posizione, identica richiesta e io non potei fare a meno di domandarmi perché era tornata visto che non gli avevo dato nulla la prima volta. Questa volta mi sembrò che il bambino avesse uno sguardo più triste. Ovviamente questo non mi provocò alcuna reazione.

Il terzo giorno che la vidi, fu davanti al cancello della mia azienda. Sembrava proprio la medesima persona e anche il bambino, che teneva tra le braccia stavolta, sembrava lo stesso. Accelerai il passo e andai dritto verso il custode e gli chiesi di allontanarla per una questione di decoro. Il custode evidentemente riteneva esagerata quella mia richiesta, perché tentò di contraddirmi ma desistette dal momento che gli risposi in modo alquanto scortese.

Trascorsi alcuni giorni rividi la donna davanti al centro estetico che frequentavo di solito. Stavolta mi disse:

«Dammi dei soldi per comprare le medicine per il mio bambino, che sta molto male. Non lo vedi?»

A quel punto ero davvero seccato. Mi sembrava di essere perseguitato da lei e con tutta la scortesia che riuscii a tirare fuori, le ingiunsi:

«Rivolgiti al Pronto Soccorso dell’Ospedale e non farti più vedere sulla mia strada altrimenti chiamo la polizia e ti faccio arrestare.»

Passarono ancora dei giorni e una sera mi affacciai con la mia compagna di turno sul balcone della mia lussuosa villa e la vidi ancora lì, proprio davanti al mio cancello. L’istinto mi diceva di chiamare la polizia ma ero concentrato sul fare altro. Rischiavo di lasciar sfuggire la mia preda quindi decisi di ignorarla per quella sera. Mi svegliai al mattino presto e mi preparai per uscire, come al solito.

La giornata si preannunciava splendida e per quella sera, ciliegina sulla torta, avevo un altro appuntamento galante. Nulla avrebbe potuto rovinarla se non che, uscendo, la donna era ancora lì, nella stessa posizione in cui l’avevo vista la sera prima e stringeva tra le braccia il suo bambino, che sembrava dormire. Lei stava piangendo e gli accarezzava i capelli lunghi e biondi. Contemporaneamente diceva strane parole, incomprensibili per me. La cosa mi colpì molto e, mentre sulle prime provai a passare oltre, poi tornai indietro a osservare meglio quella scena. Non so dire se ero spaventato, seccato o disgustato.

La donna mi guardò e si alzò e, mentre mi mostrava il bambino, disse:

«Ecco il mio bambino, è morto. Lo avete ucciso quelli come te con la vostra indifferenza.»

Volevo scappare via perché mi sembrava che quella fosse una trappola e che la donna avesse l’intento di estorcermi qualcosa, ma le sue parole mi colpirono come una spada che si conficca nello stomaco facendo uscire tutto ciò che vi è contenuto all’interno. In effetti credo che ciò che era stato cancellato all’inizio del mio viaggio terreno, venne fuori da me improvvisamente, creandomi stupore e pentimento per tutto ciò che ero stato fino ad allora.

Le parole che mi stravolsero furono:

«Fratello, ti ricordi di me? Di quando dicesti che mi avresti riconosciuto ovunque e mi avresti aiutato? Io ti ho riconosciuto e pensavo che avresti mantenuto la tua promessa e invece mi hai abbandonato. Non ricordi di come eravamo legati?»

Tutto mi fu chiaro in quel momento ma non ebbi il tempo di chiederle scusa perché il mio viaggio era già terminato e io mi ritrovai, senza capire come, di nuovo a casa, quel meraviglioso posto luminoso da dove ero venuto!

 

 

 

 


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