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di Angelo NGE Colella
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Pubblicato il 23/01/2025 22:29:11

Aprendo per la seconda volta il libro, che avevo acquistato prima di partire per la breve vacanza e che avevo deciso di non portare in valigia insieme al necessario per il soggiorno, confidando nel fatto che avrei trascorso i pochi giorni festivi in uno stato d'animo più propizio al rilassamento mentale che non alla tensione dell'atto intellettuale, riservandomi quindi di cominciare la lettura soltanto al rientro, carico come spesso accade di buoni propositi ed entusiasmo a lento rilascio che per le settimane e i mesi successivi possono davvero modificare in modo sensibile la traiettoria della mia vita e della mia anima, avevo trovato, tra la seconda di copertina e la sguardia, una banconota da venti euro, blu. L'ho guardata per un attimo senza capire, l'attimo che è servito al meccanismo della mia memoria per ripercorrere all'indietro i giorni e le azioni e restringere il campo alla sola spiegazione plausibile, ovvia, che potesse giustificare quell'apparizione quasi incresciosa, per quanto era stata sorprendente, e mi sono quasi subito ricordato, mentre un punto di calore si allargava man mano nel mio cuore, di un rapido scambio di battute avuto con mio padre appena pochi giorni prima. Mi aveva visto che sfogliavo l'enorme libro con la stessa avidità di un bambino che guarda un libro di favole, e mi aveva detto che ricordava quel titolo dai tempi delle medie, anche se non lo aveva mai letto non essendo mai stato interessato alla lettura; eppure aveva mantenuto nella sua memoria quel titolo, e tutte le suggestioni che gli aveva comunicato, per cinquanta anni e questo gli aveva permesso quel pomeriggio di trovare qualcosa da dirmi e alla quale io avrei potuto rispondere. Dopo averlo sfogliato e aver capito che non avrebbe mai potuto leggerlo perché non era scritto in italiano, cosa che forse allontanava me e lui ancora un altro po' o che forse ci stava aiutando nel tentativo reciproco di ammettere di volerci avvicinare l'uno all'altro, mi aveva chiesto quanto il libro fosse costato perché voleva darmi metà della cifra come se lo avessimo comprato insieme o, meglio ancora, come se avesse contribuito a comprarlo, in un modo molto goffo, e quindi davvero paterno, di sentirsi partecipe di qualcosa alla quale si vedeva che io tenevo al punto da spingermi ad acquistare quel volume per lui interminabile di pagine che lui non avrebbe mai potuto leggere non solo perché la lingua del testo gli era sconosciuta ma soprattutto perché la sua vista si stava naturalmente indebolendo con l'avanzare dell'età e non avrebbe mai potuto leggere la mischia di caratteri minuscoli che affollavano la pagina e che del resto erano l'unico sistema editoriale per pubblicare quel libro in un formato che fosse di dimensioni accettabili e non solo un ingombrante testamento dei gusti letterari del lettore, o almeno delle sue velleità. Avevo rifiutato di rivelare a mio padre il prezzo che avevo pagato, che non era stato nemmeno particolarmente alto soprattutto adesso che il lavoro mi introduceva a nuove possibilità economiche e, conseguentemente, a nuove prospettive di spesa e di risparmio, e mi ero semplicemente allontanato dalla cucina dove avevo iniziato a sfogliare le prime pagine e a guardare frasi qua e là e già mi sentivo come se avessi davvero iniziato a leggerlo. Poi, quando il giorno avevo preso il libro e mi ero seduto a gambe incrociate sulla poltrona col cuscino più comodo, pronto a leggere a mezza voce le frasi per poterne anche ascoltare il suono che attraversava la mia voce, l'avevo aperto dalla copertina come l'inaugurazione di qualcosa di storico, e avevo trovato il segnalibro che mio padre mi aveva lasciato, silenziosamente, perché non perdessi il segno nella lettura, e forse anche nella vita, in un modo per cui non lo sostituirò mai con un segnalibro vero.


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