Nella pacifica cittadina di San Fermo, così chiamata per la fervente devozione popolare, la RSA privata “Serena Dimora” ospitava quaranta anziani, ognuno con la sua storia, il proprio carattere e le piccole manie. La struttura, circondata da un giardino rigoglioso, era rinomata per l’ambiente pacifico e l’assistenza impeccabile. Ma dietro la facciata tranquilla, si celava una sfida quotidiana, quella di gestire i famigerati “Dieci Indomabili”.
Questo gruppo, composto da cinque uomini e cinque donne, era noto tra il personale per il suo spirito ribelle e la capacità di rendere complicate anche le situazioni più semplici. Era impossibile tenerli fermi. Cambiavano continuamente posto a tavola, si scambiavano i letti e, quando volevano divertirsi davvero, nascondevano oggetti importanti come i telecomandi o i bastoni da passeggio.
A prendersi cura di loro c’era Samuel, un giovane infermiere di origine boliviana, alto e slanciato, con un sorriso gentile che ispirava fiducia. I suoi genitori lo avevano chiamato con quel nome, perché, in ebraico, significa "ascoltato da Dio". I suoi occhi profondi e il portamento elegante ricordavano i dipinti di un giovane San Francesco, e non pochi degli anziani erano convinti che ci fosse qualcosa di “santo” in lui. Samuel era un professionista dedicato, con una pazienza infinita e un amore sincero per il suo lavoro.
Nonostante la sua dedizione, i Dieci Indomabili non perdevano occasione per metterlo in difficoltà. Ada, la leader del gruppo, era la più scaltra: nascondeva le pantofole degli altri o spostava i bicchieri pieni d’acqua per “vedere se Samuel se ne accorge”. Silvio, invece, amava fare il “giovane” saltando giù dal letto senza motivo e lamentandosi poi di dolori immaginari. Carolina, dal canto suo, era una maestra nell’infilarsi in posti improbabili, come la lavanderia o la dispensa, costringendo Samuel a cercarla per mezz’ora.
“Ehi, Samuel,” diceva Eugenio con il suo tono burbero ma ironico, “sei pagato per questo. Sopportaci, caro ragazzo.”
Una sera, dopo una giornata particolarmente difficile, Samuel si ritrovò da solo nella stanza del personale. Stanco, si sedette su una sedia e guardò il soffitto, sospirando. Quella giornata era stata un incubo: Carolina si era nascosta nella lavanderia e aveva bloccato la porta dall’interno, Silvio aveva lanciato un bastone fuori dalla finestra e Ada aveva deciso di organizzare una protesta silenziosa scambiando tutti i posti a tavola.
“Signore,” mormorò Samuel, “dammi la forza per andare avanti. Ma soprattutto, ti prego, fai capire a queste persone quanto sia importante rispettare chi si prende cura di loro. Non chiedo un miracolo, solo un po’ di pace, almeno per qualche giorno.”
Il mattino seguente, accadde qualcosa di strano. Mentre Samuel distribuiva la colazione, Ada si fermò sulla porta della sala da pranzo con un’espressione preoccupata.
“Non riesco a camminare bene,” disse. “Sento le gambe pesanti.”
Samuel la aiutò a sedersi, pensando che fosse solo un modo per attirare attenzione. Ma poco dopo, anche Silvio cominciò a lamentarsi.
“Ho un mal di schiena terribile! Non riesco a muovermi!”
E non finì lì: Carolina, di solito così agile, disse di sentirsi debole e di non poter uscire dal letto, mentre Eugenio, che si vantava sempre della sua energia, confessò di sentirsi troppo stanco per raggiungere il giardino. Nel giro di poche ore, tutti i Dieci Indomabili erano immobilizzati nelle loro stanze.
Confinati a letto, si resero conto di quanto dipendessero dall’aiuto di Samuel. Lui, con la sua solita pazienza, continuò a occuparsi di loro senza mai lamentarsi. Portava i pasti a ciascuno, li aiutava a lavarsi, sistemava i cuscini e li incoraggiava con il suo sorriso gentile.
“Samuel, sei troppo bravo,” ammise Ada un giorno. “Non meriti tutto quello che ti facciamo passare.”
Samuel sorrise, ma non disse nulla.
“Ci vuole una forza incredibile per sopportarci,” aggiunse Carolina. “Eppure tu non perdi mai la pazienza.”
Con il tempo, gli Indomabili iniziarono a riflettere sul loro comportamento. Vedendo Samuel correre da una stanza all’altra per soddisfare ogni loro esigenza, capirono quanto fosse importante rispettare chi si prendeva cura di loro.
Dopo una settimana, i misteriosi dolori iniziarono a scomparire. Ada fu la prima a sentirsi meglio e a tornare a camminare. Poco dopo, anche Silvio e Carolina si ripresero, seguiti dagli altri. Una volta ristabiliti, i Dieci Indomabili si riunirono nella sala da pranzo.
Ada prese la parola:
“Samuel, vogliamo dirti una cosa importante. Ti dobbiamo delle scuse. Siamo stati egoisti e irrispettosi, ma tu non ci hai mai trattati con meno riguardo. Grazie per tutto quello che fai per noi.”
Gli altri annuirono, e perfino Eugenio, solitamente burbero, aggiunse:
“Hai più pazienza tu di un santo, ragazzo. Da oggi, cercheremo di comportarci meglio. Promesso.”
Da quel giorno, la vita nella Serena Dimora cambiò. I Dieci Indomabili non persero del tutto la loro vena scherzosa, ma ora si assicuravano che le loro marachelle fossero innocue e divertenti per tutti. Samuel, invece, continuò a fare il suo lavoro con amore e dedizione, sapendo che finalmente era riuscito a conquistare il rispetto di quelle anime ribelli.
E chissà, forse qualcuno lassù aveva davvero ascoltato la sua preghiera.
N.d.A.: Nomi e fatti sono frutto di fantasia, ogni riferimento è puramente casuale.
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