E poi ci sono quelli che corrono, che hanno cose importanti da fare. Hanno un sacco di preoccupazioni, impegni, rate da pagare... E aggiungono, incastrano, intricano. Niente tolgono. Fatta eccezione per la loro presenza. Quella sì, la fanno desiderare.
Non hanno tempo da perdere in cose che non rendono e devi andare tu da loro, se vuoi, ché non si possono allontanare... Di fermarsi a fare niente, nemmeno se ne deve parlare.
Ironico, per quanto numerosi e vari possano essere i tragitti, le staffette, gli scambi, come sia una corsa in quella che non è più una ruota, ma un recinto. Bello ampio e pieno di roba, ma pur sempre un recinto. Puoi farlo anche lì un aperitivo di 15 minuti, prima di tornare a fare l'autista per tuo figlio.
Criceti allevati a terra. Non vedono più il cielo a righe e si credono liberi.
Eppure sono ansiosi, tesi. Qualcosa non torna e, anche spinta sotto i tappeti dei personali anestetici, la polvere di anime in gabbia sale da ogni sbuffo. E offusca la visuale.
Poco male: quasi tutti tolgono la polvere dagli occhi e via, andare!
Io li vedo, occhiali colorati sulla punta del naso, mannaia fra le mani, cappello da cuoco, mentre squarto peperoni e pollo. Giro lo sguardo, nel recinto passa il trenino: suonano tutti al passaggio a livello; uno falcia il prato; l'altro, dal bagagliaio, tira fuori un megaschermo; uno ha beccato una pollastra; un altro ha finito di dipingere la staccionata...
Ma fischia la teiera, levo i guanti, prendo una tazza. Sedia a dondolo. E bevo.
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