Ti scrivo da un piano alto
sì che persino i gabbiani si disorientano.
Non ho ancora visto il fiume,
dicono meraviglioso
quando si confonde con l'affluente
e sembrano due sposi
al taglio della torta.
Ti mostrerei la briosità delle orchestrine,
un contrabbasso restaurato,
un violino ammiccante.
Ma la fisarmonica ha in mano tutto.
Gente apparentemente spensierata,
con occhi lontani più che convincenti.
Qui, di giorno, sale un caldo feroce
ma la sera viene fresco dai Balcani.
Dietro i parapetti, paure ben ordinate
in certi scaffali metaforici
insieme a vecchi elettrodomestici.
Si teme che il tempo possa cambiare,
e non solo il clima, di per sé estremo.
Non ho paura
ma qualcosa incombe.
Sul selciato antico passeggiare è un'impresa,
gli odori penetranti dei cibi
sembrano occuparti il pensiero,
come i colori di qualche vasetto da balcone.
Sguardi sensuali
si affacciano da case senza specchi:
lei porta i tacchi, lui calvo e forte.
La loro lingua è dura,
gli occhi caparbi, azzurri o nerissimi,
a confronto con un cielo aperto
(ma non troppo)
sembrano elevare la perplessità
a filosofia di vita,
giacché si è già creduto in molte cose.
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