Ero giovane e sempre il sasso della mente
muoveva cerchi d’onde a frangersi
più in là delle rive dello sguardo. Un big
bang di polveri da sparo e variopinti
bengala profanava precipizi
notturni su cui fiorivano le arcate
degli spazi siderali. Sprezzavo
il mio cortile, l’abito rammendato
con cura da mia madre - un insolente
cencio di provincia. Ora che controvoglia
scendo gli scalini più ardui
è un mantra di cicale a ritmare
dal viale sottocasa questi passi
dubbiosi, il frullo di un passero d’ottobre
sigilla il tetto della tana che m’alberga.
Pure talvolta, quando qui fuori
spiove, inseguo con invidia
per i riquadri d’ una finestra
inglese, una squadriglia
di nuvole, là, oltre l’adriatico
selvaggio, sciorinare
al galoppo reti rosse
di fulmini sopra le groppe
invisibili della Dalmazia.
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