Rose damascene.
E’ ancora un uomo quello che avanza a Kobane,
Guernica di oggi?
Un branco di licantropi assetati di sangue
La stringono.
Non c’è niente di umano nelle loro bandiere,
Nella guerra di donne contro donne, nella
Sete del califfo di Bagdad, piccola pietra nera
In un universo di colori.
Muto vento caldo del deserto.
Ma la tempesta del bene
Arriverà anche sulle colline di Kobane
Dove sbocceranno idee nuove di pace.
E il tuo dolce sorriso di madre Arin
Non si disperderà nei mantelli neri
Di donne oggetto
Di una sharia fuori dal tempo.
Per questo io piango il mondo in cui
A Fez le donne dell’Islam aprivano università,
E prima i Romani facevano grande il vino Siriano.
Quale uomo sta nelle trincee,
Fianco a fianco con i Curdi,
In nome della civiltà della tolleranza e Dell’amore?
Non ho avuto la fortuna di conoscerti Arin,
Di poter scambiare un dialogo sui tuoi sogni
Di madre per una vita migliore.
Per espellere l’indifferenza per la parola pace.
Basta con queste barbe insolenti.
Quale uomo vive in terre d’antica civiltà,
Dove guarderanno gli occhi di Ceylan?
I tagliagole stanno facendo il lavoro sporco.
Ma Dio è piu’ grande
E il tuo corpo ha cambiato
In un fiorito prato
Di rose di Damasco,
Su cui felici giocano i bambini curdi.
Io non riesco piu’ a piangere
Mentre il sole e la luna si eclissano
Perché non siete piu,
E il Tigri e l’Eufrate mescolano le loro acque
Con il vostro nobile sangue.
Sulla via di Damasco,
Saulo, perché mi perseguiti ancora?
Oggi siamo tutti Curdi.
Dalla Siria, come dice il mio amico Sandro Saade,
non escono neanche i fantasmi.
6 ottobre 2014
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