IMPROVVISATA ODE DI UNA SERA D’ ESTATE
Spari s’odono di fuochi d’artificio a sera sui brulli colli
disegnano nel cielo forme infuocate. Un aura brilla intorno al viso della luna ammaliante ed immortale. Incantesimi notturni , versi redivivi tratti da celebri libri affiorano alla mente confusa , oppresso dal caldo soffocante intriso di filosofismi , inseguito da mostri metropolitani per strade insanguinate.
Appriesso a un suonno m’appare senza conoscere la fine di un era , la voglia di capire che cheta , smargiassa, senza una fine certa cammina assieme alla morte , che passo , passo t’insegue, senza ammiccare, allecanne un gelato al pistacchio , una vita serena ,sulagna dentro un cuore che triste a volte diventa nella sera. Passo , pensanne a tanti cose , quand’ero guaglione , quand’ero sfortunato , non me faccio tanti problemi , mi fermo fore a un bar mi piglio un caffè , assestate, vola con il pensiero lontano , forse in un altro mondo , forse dentro un domani . Appuiato sotto allo muro , quante parole dietro di me , quanta pensieri rassignate , tutti insieme appresso a questo carro e muorto. Una sola faccia , una sola vita , uguale ad ieri ,uguale ad oggi ,verso un giorno felice , fatte di vase e carezze , sotto questo sole che spacca le pietre sotto questa veste , aspettannne questa ammore.
Rincorrendo la magia dei tempi andati, un motivo d’una vecchia canzone cantata lungo i vicoli uterini ove mai giunge il sole ad illuminare le disgrazie dei suoi poveri abitanti. Sconvolto , scivolando nell’ore che giunge presto alla morte in uno sparo udito per strade sporche di sangue , divorate da orde dì immigrati affamati di sesso , di droga ,di facili guadagni . Fermo in bilico sulla sponda d’un ricordo oltre l’immaginario , politici istrioni , ministri sinistri , ricercatori di favelle , novelle scritte per far sorridere grandi e piccini , mare che unisce la terra ed il cielo ,lambendo le coste dei pensieri oscuri .
Non c’è sta pace , muzzecanne queste parole , pesanne questa sofferenza , miezzo fatto tra la gente , miezzo questa folla che te votta , te gira, ti chiamme , ti voglio per un ora poi basta come lo vento che passa , comme un onda felice che ritorna a riva per essere niente. Ritornare ad essere ciò che ero , quello che ho sempre perseguito , un stana follia , un povero maccarone .
Pienza questa ammore ti ha pigliato in giro , pienza che ogni cosa questa ammore se rubato . Mi guardi , mi rincorri per strade assolate senza pronunciare il mio nome , senza te, son perduto son sulo come un fasulo dentro un sacco. Gatto , topo , leone pigliatavilli questo core , pigliatevela questa vita , fatte a pezzi , pigliatevelo questa ammore africano.
Scrivere poesie inutili , versi fioriti nel silenzio in magici meriggi nell’animo latino . L’ode lunga di una sera d’ estate , rincorrendo le falene elettriche lungo le afriche coste , memore di glorie passate. Senza ritrovare più il senso etimologico del comprendere il senso delle cose , osservare sepolto sotto un salice piangente , ombreggiante la sagoma della disperata inchinata sulla tomba del suo amato.
Cielo raggiante annunzia l’ apparire degli elleni eroi
l’udire ruggire il coraggio del leone ,le costellazioni in armi,
il sogno del divin fanciullo risuonante in un novo canto d’ amore.
Scrivere, scrivere, ridere della morte che donna ti seduce , ti piglia per lo collo , ti rifresca , ti sazia , ti dice ti voglio bene e tu non pienze a me. Mille anni , mille parole , mille poesie , piccerelle , paonazzelle, pazzarelle , poverelle, pigliatela questo vasillo, pigliatelo sta pazzia.
Ire in compagnia di personaggi fiabeschi nel fitto bosco cittadino fatto di cemento e ferro.
Sotto gli orribili occhi d’un orco digrignante i denti.
Volare oltre questa dimensione , inseguendo fate ed elfi.
Ogni cosa tace , non svela alcun arcano mistero
chiuso in seno ad un sofferto canto.
Pianto antico , fatto durante un sofferto viaggio
intrapreso con l’intera compagnia degli infermi
mano nella mano andare senza chiedere nulla
satiri e giullari , strani incubi picareschi
vortici di parole stregonesche , chiose di verbi arabeschi.
Siscando , melodie , generando ,rinnegando , sotto questo canto avveluto , bastonato, fatto della stessa sostanza del padre, ruciulianne ,scennene felice lunga le scale siscanne , cantando arie neomelodiche , siscanne ,cianciando ,voglia di capire ,voglia di vivere , di correre ,di cambiare .
Nella comune ragione , raggirare la sorte
la fiabesca favella echeggiante nell’aria infetta.
Finti diritambi ed altre ecloghe dal significato perverso
prolisse prose emergono dal fondo della storia.
Ritornare in seno ai secoli passati , arrampicarsi
su i monti con l’armi in mano , gridare dalla sommità la libertà conquistata , mostrare il male esistente.
Arrampicarsi sulle cupole delle chiese , sui tetti dei palazzi
,sui templi d’orati ,riemergere dalla follia d’un epoca.
Passando verso una nuova estate , attraverso
l’antro dell’ averno , sotto lo sguardo di medusa.
Ascoltare l’onde cullarsi infrangersi sugli scogli
mentre un palombaro scende cantando l’Aida in fondo al mare.
Pazzia ,pazzia, piezzo e core scordato coppe ad una panchina
Affacciato a guardare l’immenso panorama, la morte che diventa peccerella si fa bellella se mette lo trucco , ti dice mi vuoi bene ?
Te stregna la mano chiano ,chiano ,ti ritorna a mente tutta una vita tutta una storia che se trasformato e divenuta morte, poi vita poi sorriso , gioia , dolore. Che bella giornata ,quanta gente per la via ed io cammino assieme a loro, mi perdo tra mille facce, tra mille ricordi , pensieri , sentimenti diventano un solo senso , poesia , un gelato al limone. Assetatevi non abbiate paura non ve magnammo, appicciate questo ventilatore , appicciate queste stelle in questa sera affatata fore lo chalet .
Magica gloria chiamata giovinezza ,perfetta armonia , un fiorire
di speranze nel buio. Soffrire , crescere e altre parvenze dello spirito poetico. Seguire nei ricordi , gesti della madre il suo ricamare rime e altre storie sul telo ove è impresso il viso del suo figliolo defunto . Rammendare, meditando le mendiche spoglie di lui vagabondo per l’ade. I fatui fuochi sui i colli nel cielo notturno salutano
il declinare della sera , si placa il dolore e nel muto intendere
madre d’eterne estate ogni cosa diventa lecito , improvvisate rime accompagnate da una mesta musica in riva al mare di nostra etade .
GIANDOMENICO FERRARO
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