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Il giorno in cui il Tempo distrusse i sepolcri

di Manuel Paolino
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Pubblicato il 20/12/2015 11:54:30

IL MATTINO E IL MEZZOGIORNO

 

Non vi è nulla miei cari

nulla

inutil che aguzzate gli occhi

qui nel mio tempo non trovarete più

la roba o il nido né la donna angelicata o tutta carne

né il mal di vivere o la divina indifferenza

né provvidenza

né grazia né ironia.

 

Nulla ha più ragion d’esser

se non il sibil del vento

nell’aria di sabbia i minuti sentieri

delle cose animate il silenzio

che piccole pur e incredule

dove la natura divampa cadono

solitarie nei meriggi soli

senza più dell’uomo la presenza.

 

Lì dove la terra fu regina 

or s’accende il mar

dove le grandi montagne s’innalzavano

le roccie son basse tavole di neve

le case del capitalismo

son dei pesci a livelli rifugi

negli hotel le sirene 

v’accolgon se bramate in letti d’alghe.

 

I lupi non gridan più

alla luna

perchè il ciel la piange

nascosta ella è alla terra

dall’ignoto mal che m’accompagna

stavolta per cui nessun di così tanta tempra

fu d’arrestar il passo

lavorar e alzar la schiena.

 

Io sono il Tempo

il mio male è passar e lasciar che tutto vada

sotto gli occhi che sorvolan fermi

e non mi resta che guardar e sostener anche l’ellissi

nei miei sonni come nel mezzo emistichi

il mio moto è eterno

come infinita è l’ignoranza  

nel confessarvi da dov’io provengo.

 

Nel mio mal dantesco

non invecchio

mentre tutt’intorno muore

e nasce

anche se in quest’eremo purtroppo

da troppo non vi è luce 

ed io vivo ancor soltanto

di voi animato dal ricordo.

 

Ma v’è un bene inconfondibile

penetrante e grande il qual dà gioia

nella guerra sacra celeste e nera

il mal sconfitto giage esploso

morto solo

poichè il ben già da tanto

inciampò con indietro un passo

e la testa china.

 

 

IL VESPRO E LA NOTTE

 

Io sono il Tempo e sorvolo

il mal ch’ignora il male suo

perchè se il ben perisce mai il mal 

arriverà per primo

sono il Tempo e sento la colpa lontana

per la cual dannato fui da Foscolo

che la mia intenzion predisse

senza pensar al peso del mio viaggio.

 

Sopra l’Italia mi trovo adesso

nel cammin dell'arte

vicin il poeta di poc’anzi il qual lui disse

che non è immortal la pietra

né l’uomo in mia senil presenza 

eppur i versi di codesto

alla memoria dell’assorto udito mio

son un eterno melodiare.

 

Ricordo allor con essi

le geste degli eroi

il tremar dei sentimenti

le morti tragiche e i contrasti

la fantasia e la moral

gli endecasillabi e sonetti

i canzonieri di una vita

lo sperimentar e la purezza.

 

Or accanto v’è il Parini

il qual come me divise il giorno

andava con al lato un giovin nobil

a insegnar i modi

agonici dal risveglio all’ultim sguardo

come il poeta

a braccetto si portava

il suo sorriso.

 

Certo è che dei sepolcri

rimane poco

arena in cumuli e sartuarie pietre

una lettera o una data

qualche fior o in ciel lontan ondine

ed io spettator che tutto distrugge

non mi resta che sedermi

e pensar al mio destino.

 

Ecco qualcosa accade:

 

il flusso sale e non dà pace

e il penetrar della tormenta

come clessidra nella pelle

dalle direzioni tutte viene

dai sepolcri sparsi dei poeti

di qua e di là nei pezzettini

dov’io vidi del mondo intero

consumar nei passi le pietre armate.

 

...non so quanto

di me poi trascorse

ma vi dico quel che ora

infine vedo

il sole brilla eterno

sopra due ombre

poichè la terza ancor nel ventre

il sonno dorme d’un poeta.

 

 


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