Dedicata a R. M.
Arabia Felix[1] era la mia patria
profumata di nardo, cannella e cinnamomo.
attendevo la notte, regno del fuoco, per scrutare
corpi celesti e sogni avvistatori.
fui Mago e non fui Re
perché fede, mente e scienza
potessero, alla fine, dare risposta
a quello struggimento della mente.
quando un astro fallito e un titano sconfitto[2]
si scambiarono gli anelli
deflagrò in cielo il godimento:
il fluido viscoso esplose e implose.
seguii la luce intermittente
per nove mesi in carovana di mercanti e magi
fino al terzo scintillio che osò posarsi
su una tiepida stalla odorosa di sterco.
la nona luna partorì il Bambino
e io soggiacqui a un sentore ignoto
che acquietò l’agonia del pensiero
svelandomi l’arcano.
non c’è mistero negli occhi di un neonato
non menzogna nel suo vagito
e nei pugnetti serra l’onniscenza
del Creatore e del creato.
nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma.
l’eterno è manifesto e palesato
e ci sarà sempre un erode o un sacerdote
pronti a mozzare la testa a chi lo vede.
non tornai più al tempio
e al fuoco sacro.
fui in ascensione trasportato
in altro mondo a tutti sconosciuto.
[2] Giove e Saturno si congiunsero
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