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Su una panchina sopra Posillipo

di Domenico De Ferraro
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Pubblicato il 17/06/2016 16:27:55

SU UNA PANCHINA ,SOPRA POSILIPPO

Tra tanti  versi  rimasti in piedi ,tra le mille rose rosse che circondano il cuore di metallo di questa realtà, tra affanni , giochi ,corse, desideri che diritti portano oltre ogni dubbio ad una verità che lambisce il credo, bagna la fede , circondato da buoni propositi nel sacro, nel profano , ogni cosa ci riporta indietro nel tempo.

 

Dietro una faccia gialla, languide carezze , senza un filo di grasso, facciamo chiarezza, bellezza sireticcia , oltre ogni dir potrei lodarvi al cospetto di un Dio , mi sento bambino, non sò più cosa fare, mi lavo le mani , mi rimetto a cantare , come fosse la prima volta, come fosse ieri che entrai nell’Ade così triste , così sincero , quante pene, quante gioie sepolte nell’animo che han raggrinzito questo cuore, hanno destato quest'uomo sul punto di morire, ed io ti cerco nel buio, io volevo capire, pur comprendendo la vostra avversione io m'accingo a subire il torto , quella vaga illusione trascritta per caso sopra una pelle di pulce, sopra un vecchio cappotto. Come soffro , non posso espiare le mie colpe , non posso lasciare stare questo fatto pur proseguendo immemore di questo castigo, io dico avanti.

 

Non trovo parole migliori, non trovo soluzioni che sappiano con lungimirante abnegazione condurre a dire :faciteve e fatte vuosto, che mo’ non e cose ci stà a finanza , sè s'accorgono della truffa, insieme a Ninuccia finiamo tutti in galera. Voi sembrate una persona apposta uno studioso, tenete la faccia come lo core, tenute due palle pelose , una moglie , una figlia ,tenete questa ammore malato che come una catena vi streghe le mane , voi tenete il coraggio d'affrontare la morte a viso aperto . Ah lasciva sorte , megera compagna di tante notti oscure, voi che menaste lo sguardo su colei che muove il mondo , abbiate per cortesia questa bona creanza, di castigare questa gelosia che vi rende inerme , difronte agli uomini , difronte alla storia.

 

Son passati trent'anni ed io continuo a ragionare meco , su quel modo di dire che lascivo, ingrato , ignaro del domani m' adduce a credere di speranze meste ,di visioni che trascendono l'Intelletto a nuovi traguardi a nuovi intendimenti, voi mi capite , non indietreggiate, fatevi, avanti non abbiate paura, io vi rammento possente, intrepido ,pieno di volontà che vi guidava verso altri lidi , lesto nella favella ben accorto , or dunque voi lasciate che sia , pur tra tanti dolori, questa impresa vi condurrà a comprendere il torto subito.

 

Così in bilico sull'orlo d'un precipizio con tutte le buone intenzioni, in compagnia di vecchie filastrocche , intrecci e canovacci mentre il vento ti sputa in faccia ti porta via sul golfo delle meraviglie , parlando con un gabbiano il gabbianesco , parlando del dolore che provo a stare qui seduto su una panchina sopra Posillipo sulle rampe di sant’Antonio, io aspettando che ogni cosa si compia che il domani incerto torni sopra le tant'è vicissitudine nella calma dell’animo nel dolce meriggio, veggo le tante vicissitudini , i tanti giorni spesi .

 

Nulla mi separa dal vivere legato ad un mistero così profondo fatto di parole giulive, chete meste ancelle amiche dell'oste ,sincere ,spaesate ,sciancante figlie d'una canaglia, veggo il bel dire tra i tanti arzigogoli, goliardica prosa in bocca a questa vita che non s’abboffa mai che rende pigro l'intelletto ,le tante pene subite. Oggi non sò dire se son sincero , se mostro coraggio seguendo il senso d'una frase , il falso dire per rime meretrice nel breve tragitto io mi dissolvo, nel nulla , nell'aereo cielo che mi è difronte, forse seguo con scrupolosa memoria la mia giovinezza quella antica bellezza , ebbra di gioie di chi dorme di glorie che arrancano lungo la costa, perduto in mille dilemmi. Vengo ed oltre ragiono con la mia mente a cavallo d'un ippocampo , forse sulagno, scapricciatelo aspettane stà sciorta che rosica queste ossa , vengo ed oltre vado ramingo, spergiuro , migrante di logo in logo senza mai fermarmi , senza vittoria, senza perdono.

 

Qualcuno mi crede folle , guardandomi qui seduto, forse ubriaco di tanta fantasia , figlio della cicala, figlio dell'onda che corre beata a riva senza mai fermarsi, dove sepolto alfine giaccio nella sabbia sporca di sangue nell’ apogeo per altre vie , elevandomi dalla comune prole ,trascendo me stesso non ò saccio chi sono , quanta vita ci stà ancora a vivere quanti suonno scicchilocco , zinnariello , puricchiuso , scanginate, senza pate, senza dio , vedo , penso e scrivo , sopra ad una panchina un sonetto antico.

 

Me sò scusate con tutti, mi sono aizzate per pigliare questo cielo tra le mani ,nù poco mare, nù sorso di vino , senza che nisciuno te dice statte accorto , intanto spero di altre grazie , di casti concetti legati a questo incanto a questa vita che vaga affligge, gemente e piangente in molte considerazioni in molti titoli, io prego ed ascolto il vento che da ponente, giunge allegro con la sua gente con mille disgrazie con molte lingue , con tanto amore io seggo nel tuo cuore . Io vivo beatamente, vestito di laceri versi con tutte le buone intenzioni con mille dubbi con poche chiarezza io seguo me stesso sulla scia d'un onda sulle tante afflizioni stipate nell'animo in chiara esistenza con tanto coraggio , ogni cosa brucia nella sua passione, pur rammentando il tuo viso , forse seguendo nel moto delle stelle , mi congiungo in altre dimensioni , lasciando fuori da questa vita il male dei troppi anni, vado per laide vie sorseggiando la follia d'un era , scalando le poche elette vette che in breve, solchiamo nel nostro esule silenzio.


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