Pubblicato il 02/11/2016 20:09:56
A scuola dalla Storia
Come ogni giorno la Storia entra in classe gli allievi si alzano in piedi, si inizia la conta, si annotano assenti, si annunciano nuovi argomenti. Poi la Storia comincia a svelare come inizia una guerra partendo da un'oscura pertosse, da due linee tracciate a casaccio da un generale. Si susseguono cifre, dettagli, si passa al setaccio l’emporio dei nomi, si cerca il ponte che unisce la miccia esplosiva al fuoco diverso delle stagioni.
Non vola una mosca, tutti prendono appunti, in religioso silenzio si attende lo squarcio che renda evidente il vincolo impuro che segna da sempre il petto dell’uomo. Si susseguono immagini di apprendisti stregoni truccati da profeti indolenti, i corpi rimasti sul campo a morire in un palmo gelato di neve amaranto. La morte strega lo schermo, impone il suo punto di vista percuote i discenti sgomenti fino a sedarli di buone intenzioni.
La Storia valuta tutto, l’importanza di un paio di baffi su un volto incolore, le variabili cieche che impongono ai corpi divise aderenti e gonfiano il battito di soldati disposti a baciare la morte con lingue impastate di latte materno.
La Storia si concentra con puntiglio sulle possibili cause, sul contesto che segue una crisi economica, dispone i suoi molti fattori e costruisce disegni imperfetti dove si specchia la vita interiore.
Non si esime la Storia di parlare del pianto di citare l’ombra pluviometrica cresciuta su un volto restato incapace di lacrime umane, perché ha smarrito il testo integrale la chiave di volta del proprio nome.
La Storia insegna per due semestri assegna i suoi libri, indice gli esami. E ogni anno ricomincia daccapo con scolari uguali e diversi: di nuovo le guerre del Peloponneso, Anzio e Bisanzio, fino ai boati assordanti ad Aleppo. Ogni anno un alunno arringa la classe rombando stentoreo: dal nostro passato possiamo imparare a salvare la linfa di un mondo migliore.
Lontano dalla Storia, quasi fuori dal suo sguardo, nell’ultima fila di banchi, siedono gli studenti fuoricorso. Non alzano mai la mano, non prendono appunti, hanno barbe pietose e occhiaie dove si frange sorella amnesia. Sembrano assenti, ma osservano ancora il lento fluire del tempo, la sfilata continua di feretri ignoti i nomi neri sulle lapidi bianche, le bandiere che fluttuano fino a strapparsi, le ragioni dei vinti e dei vincitori, il potere che passa il rosso rastrello e fissa le date della memoria. Se un giorno uno di loro si alzasse in piedi e proferisse parola se un giorno il silenzio delle comparse si sollevasse al centro dell’aula
allora forse un altro sentiero potrebbe iniziare, destando una rotta non ancora usurata inadatta agli eserciti in schiera al volo radente dei droni echeggianti, ma segnata dal canto insorgente di una pattuglia di angeli idioti.
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