I dieci centimetri di foschia
giùst’altézza sul pélod’àcqua a mezzodì
per imaginar la cima d’una ben sconta collina
(guarda, guardalà)
l’ìsol’avvistàta giù bàss’all’orizzónte
senz’acqua
campi arati sarieno stati da supporre
a perdita dell’occhio
sótt’alla bruma come il filo
quando vidi un celeste dòce-dòce
in alto stemperarsi in cuperìa di verde
maritarsi a un mare che non c’era
in vece d’un traliccio là fuori di luogo
come la mente nostra d’uomo
sópr’al mondo questo
In quel momento stava già riverso
lui
apèrt’al farsi riconoscer in màrgin’alla gente
e maldisteso a cencio sui gradini
lui
“Dimmi, stai dormendo, vero? - No. - Allora addio.”
E quest’addìo spètt’attìa e pure ad altri
quando e se va bene
ai sènzanóme del meriggio ingioiellato
per carenza estranea di mani
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In quel momento
(non in altro)
i dieci centimetri di foschia
riparavano il piede della terra
la mano del mare
che non c’era a stento
l’occhio là in alto nel celeste
esso celeste pure
a lasciarci vedérc’abbandonàti noi
abbastonàti
uno specchio di vergogna
nel nero che rimane
(tratto dalla raccolta "Luoghi accettati",
autopubblicata nel 2001)
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