Archeologia poetica
I
Nel bosco il fogliame crea una pozza
e a strati le foglie sulle foglie
trattengono meste e raggrinzite
l’acqua al suolo. Sotto di loro
altri strati di decomposizione
si dividono in substrati misti a fango
e microbi e batteri e minuscoli animali
portano memorie di muri e scavi
e ceneri azotate dagli incendi e forse
grida acutissime cucite nella gola.
Oh! quanta vita c’é dentro la morte!!
II
Tutto è ora coperto ma da chi e da cosa?
Il tempo è passato in verticale
e tutto cio’ che si piega scopre un angelo
o un demone in ogni azione umana
Viene un futuro magro e vuoto senza più speranza
lasciando profe-scie di scheletri eroi e sciacalli
un humus di innocenza si profila
ma le cellule del dolore dove sono?
lontane o vicine a quelle della gioia?
e dove sono gli strati del rancore?
forse la comparsa del tempo è già scomparsa?
e allora noi?
III
dal silenzio in schiere oscure e soffici
intravedo un tempo senza più futuro né passato
e io percorro gli alberi e abbandono
questa pianura cosi piatta dl pensiero
e mi inabisso dentro terra d’acqua
altre larve stanno e tutte senza occhi
ma tutte con una gracile certezza
che dallo spazio azzurro e verticale
viene vita. Un cielo d’occhi in alto
là mi attende e poi un sorriso
al centro di quel volto.
Non parla per parole ma fruscii
di foglie e rami mai cosi felici
e un vento gentilissimo percorre
questo vestito vecchio che diciamo
Pelle.
IV
Dunque in questa nuova vita
io parlo una lingua generale
un grande insieme indivisibile
per astri, piante, uomini e animali
Dunque ci sono parole chiare oggi
qui davanti a noi sono venute
con tutta la forza necessaria
a penetrare
il nostro tempo spazio di antenati
poichè le giovani parole sono
nostre figlie e ci guardano da dietro
partorendo furtive nuove storie
V
Dunque ho constatato la mia morte
quella che chiamano il passaggio a miglior vita
ma mi vedo ancora qui sul fiume
trascorrere antichi istanti di bellezza
e viene dalla radura dei salici giganti
il suono originario che ci lega e ci allontana
Qui io sono in un corpo di magia
che chiama e ascolta il mormorio del mondo
e lo trasforma in invisibili segnali per le stelle
VI
E’ venuto questo nuovo antico mondo
con il suono del tamburo e della gioia
e la potente melodia di una rientranza
Quanta potatura dei ricordi c’é da fare
come se la memoria fosse un tronco
senza braccia. Eppure con i piedi
pesto l’universo. Mentre sono
lo sciamano di me stesso
e scandisco con ossa cimbali e caviglie
un battito cardiaco che canta .
VII
Per adesso é tutto quello che sappiamo
Una manciata di particelle elementari
che vibrano che fluttuano
in bilico fra esistere e non esistere.
Ci sono anche se sembrano non esserci.
Si sposano divorziano fuggono lontano.
Appaiono in più luoghi allo stesso tempo.
Hanno un loro alfabeto luminoso
per raccontare cio’ che c’é d’immenso
nella storia delle galassie delle stelle i
nnumerevoli e fugaci.
Ma anche delle montagne dei campi di grano
dei sorrisi dei ragazzi alle feste
e di quel cielo nero che protegge
l’intimità della notte.
*Liberamente tratto e messo in versi da: “Sette brevi lezioni di fisica” di Carlo Rovelli
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