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Tu, la terra destinata, tu che vieni

di Amina Narimi
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Pubblicato il 26/10/2017 21:41:13

Riaccendo il lume antico e, a costo della vita,
ammutolisco, tra i nodi del respiro.

Le parole intanto vanno alla tua voce
da principio. Ti aspetto, mi raggiungi.
Ti sfioro, prendo tempo. Ti rilascio.

 

Posso dire solo ora < siamo insieme>
mentre seguo con le dita la tua scia,
con l’orecchio l’eco dei tuoi passi, 
per tornare al mio barlume, benedetto-
trafitta e poi nutrita dal mistero 
di questa religiosa solitudine
che fa brillare il vuoto. Lungo i fianchi

 

trattengo, come aria, il presagio e il tuo disegno,
la traccia che riposa sull’argilla
della nostra calda vibrazione e più modesta epifania-
le morti , quelle piccole, tra un respiro e l’altro,
ci hanno mostrato come tornare vivi,
complice lo sguardo tripartito dell’apnea,
tra il mattino la fiumessa e la tua casa:

vascelli, con l’amore ad ogni porta 
tatuati sulle stelle alle pareti,
e al nostro corpo. L’uscita rimane respirare 
attraverso la fessura, sulla soglia,
per ricevere semplicemente il buono
ridente del tuo viso,
che prende favola, sereno,
nel largo dell' azzurro. Dove tutto affiora-

 

tu, la terra destinata, tu, che vieni
dai millenni di un rebambino biancosale, 
tu, piccolo messia, con cicatrici di cristallo-


la tua voce adesso è tutta la poesia
le mani pure, il libro aperto, la dorsale
dal ventre al cielo. Della pietra rosso sangue
distendo la sua spugna alla marina
completamente nuda. In stato d’amore

il tuo manto ci ricopre con immensi occhi
nasce il passato e la sua vena, sacra:
la trasparenza del grappolo, la terra salva 
contro il freddo, e l’acqua, che risale chiara,
dice gioia, da ancora più in alto, in pace
sulle labbra illuminate. Anche stanotte

 

da lontano mi sei seduto accanto,
se ti volti indietro mi sei dentro.

 

- Claudia Sogno, Boscovecchio, 26 Ottobre 2017 -


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