Dopo le chiacchiere, ridondanti, di decine di, a detta loro, artiste,
scappa il proposito di importare dalla Svizzera un referendum d’altra natura
non come l’inutile sulle trivellazioni che mi indirizzerebbe a battute maschiliste,
un referendum in grado di imporre lo 0,045% di quote rosa alla letteratura.
Prendiamo ad esempio una scrittrice, a detta sua, la Policane,
scrive, tipo il labrador del mio ex-zio, boiate degne delle migliori veline democristiane,
lamenta sempre di sopravvivere in condizioni miserande
sarà il motivo del suo apparire, dappertutto, in selfie senza mutande?
Poi, dico io, ne esistono di giornaliste freelance flessibili dotate di microcefalie,
che, a forza di camminare con tette e culi in costante esibizione,
abituate a flettersi con inflessibile orgoglio sopra divani e sotto scrivanie,
esibiscono articoli e rime dotate d’alte dosi d’analfabetizzazione,
scambiando un reiterato abuso dell’anal con l’uso delle anàfore
nella speranza di sfilare dalle pagine dell’Unità a una camera da letto d’Arcore.
Queste nuove generazioni di intel(lett)uali malate d’alitosi,
accorte a farsi strada succhiando cazzi al ritmo di Bela Lugosi,
non si offendano se ovunque le definiscono col termine «mignotte»:
magari è il momento di abbassar la testa, sui libri, e di alzare le culotte.
[inedito, 2017]
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