Pensare d’esser contadino di semi d’angoscia
su una terra dura come monumento funebre,
distribuendo sale sulle anime dei vivi,
le anime dei morti sono meno sfuggenti.
Pensare inquietando, a vicenda, le nostre inquietudini,
«effringere ut arta / naturae primus portarum clausura cupiret»,
non smettendo mai di bussare alle finestre dell’amore smarrito,
con la bellezza effimera dello shoe-shine.
Pensare, straziati di lacrime come una madre davanti alla bara d’un bimbo,
senza barare, novelli Yudhishtira, ai dadi del Dharma,
crollandosi addosso tra i frammenti ossei del nostro scrivere,
osservando cianotici volti.
Pensare, e continuare a farlo, minuscole divinità creatrici del divino,
mito-logiche chimere sbranate dall’occhio di giada della tigre,
senza mai afferrare i mille sensi della vita.
[inedito, 2017]
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