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Il paradiso delle lucertole.

di Bianca Fasano
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Pubblicato il 28/04/2018 19:18:17

Il paradiso delle lucertole Questa storia me l’ha raccontata mio figlio, ma lui non ammetterà mai di averlo fatto, in quanto è una persona “molto seria” e fa un lavoro anch’esso molto serio, per cui mi ha suggerito di scriverla io, che, in quanto artista e scrittrice, si sa, faccio un lavoro che con la fantasia a molto a che vedere, per cui posso permettermi di raccontarla. Chi l’ha suggerita a lui? Una lucertola. Ecco: subito, a questa mia frase, avrete cambiato espressione. Dapprima lievemente incuriositi, di poi avrete “storto il muso” con espressione incredula. Ho capito cosa vi è passato per la mente: Ci siamo, la solita scrittrice piena di fantasia che vuole farci credere qualcosa di impossibile. Invece si tratta proprio di una storia vera e la racconterò (ricca di qualche particolare), così come l’animaletto verde scuro l’ha raccontata a mio figlio e lui (riducendola all’osso) l’ha poi detta a me. -“Sono una lucertola. Un rettile, vicino ai miei lontani parenti, i serpenti. Ma, quando si dice “parenti serpenti”, non si ha davvero idea di quanto sia difficile convivere con quelli veri. Sono nata in una campagna del napoletano, essendo ancora giovane, presento delle strisce laterali continue di color bruno scuro sul dorso, ma invecchiando cambierò colore. Ho imparato da sempre ad occuparmi di me. Me la so cavare. Ho anche un carattere aperto e simpatico e quindi non mi è difficile avere a che fare con le mie coetanee, ma anche con le lucertole più grandi. Mi è sempre parso importante ascoltare i vecchi, ossia quelli che si avvicinano ai sei anni di età (ma ne ho conosciuti di più anziani), i quali si divertono (anche le lucertole lo fanno), a raccontare le loro avventure, o quelle che hanno ascoltato, a chiunque sia tanto fermo da farlo. Al sole, da maggio preferibilmente, quando ci accorgiamo che intorno non si muove nulla, ci stendiamo in panciolle a farci riscaldare dal sole e non troviamo disdicevole (se capita), di afferrare qualche incauto insetto che si avvicina troppo. E’ stato così che ho sentito parlare del “paradiso delle lucertole”. Non si trattava di un paradiso da raggiungere dopo la morte (noi non crediamo nell’anima), ma di un luogo straordinario che alcuni dei miei amici dicevano di avere visitato, per poi perderlo. Perderlo come? La cosa mi lasciava sempre perplessa: come si può perdere un paradiso? Ma poi, di che paradiso si trattava? Non si lasciavano pregare e me lo descrivevano: un territorio immenso, dove esistevano vere e proprie case (non le buca nei muri), per le lucertole. Dove esistevano parchi a nostra misura, con laghetti puliti, fiumi, teatri (vi recitavano, naturalmente, lucertole attori), e fabbriche di ogni tipo, piazze piene di luce, strade pulite… inoltre, gli insetti si trovavano in grande quantità come cibo, non volendo saziarsi con quello che gli esseri giganteschi (che stavano in paradiso proprio per renderlo sempre più comodo per noi lucertole), lasciavano in giro. Un paradiso, insomma. Bene. Ma dove fosse codesto paradiso non si riusciva a comprenderlo. Non appena mi provavo ad intervenire, chiedendo indicazioni in merito, i vecchi lucertoloni guizzavamo via, presi dai loro improvvisi doveri indifferibili e le femmine parlavano di uova da controllare. Ed io restavo al buio. Finalmente, però un giorno feci amicizia con uno strano tipo di lucertolone. Un conquista lucertole. Ogni volta che gliene capitava una a tiro la corteggiava e poi la prendeva a morsi sulla schiena e la faceva sua. Di lui si raccontava che aveva figli ovunque, anche fuori delle campagne di Napoli, perché “viaggiava”. Viaggiava? Dunque questo era proprio il tipo adatto a rispondere alle mie domande! Ma faticai non poco per farmi ascoltare, anche perché favoleggiava di dover presto “riprendere la strada”. Riuscii, comunque, ad avvicinarlo un giorno, in quanto aveva fatto davvero una brutta esperienza: aveva perso la coda. In pratica, quando gliene chiesi il motivo, parlò del figlio del camionista (?) presso cui lui aveva casa, che, avendolo trovato sul camion del padre, lo aveva colto di sorpresa. Presalo per la coda, lui non aveva trovato nulla di meglio da fare che lasciargliela tra le mani. Il ragazzino l’aveva subito buttata a terra, osservandola mentre si agitava come se fosse viva. Il mio nuovo amico mi aveva spiegato che la coda della lucertola continua a muoversi per ingannare un eventuale predatore. Questi si avventa sulla coda perché la vede muoversi e intanto la malcapitata lucertola ha il tempo di fuggire e mettersi in salvo in un buco. Mi tranquillizzò dicendomi che la coda si rigenera, ma potrebbe anche nascere doppia. Non lo sapevo. Gli chiesi se facesse male, ma lui rispose che: no! esiste un punto di rottura che lascia staccare il pezzo. Da qui a farmi raccontare perché lo definissero “viaggiatore” fu facile: si infilava nel camion e partiva per il viaggio che doveva fare la merce. Gli chiesi, ovviamente, se sapesse nulla del “paradiso delle lucertole” e lui, dimenticando di non averla più, cercò di agitare la coda in segno di divertimento. Altro se lo conosceva! Lui ci andava spesso: scendeva dal camion a fine corsa e il paradiso era a pochi metri. Soltanto che vi sostava brevemente, in quanto voleva tornare a casa. Nel suo buco? Restai di sasso: -“Ma come? Potresti vivere in quel luogo meraviglioso e desideri di tornare in questa campagna?”- Lui fece un mezzo sorriso (come sorridono le lucertole) e asserì che la sua tana era il luogo più fresco della terra, che la sua campagna era il paradiso più grande che conoscesse e che, quindi, una passeggiata andava anche bene, ma poi voleva rientrare. Inoltre non amava i gatti. i gatti? Cosa erano i gatti? Non volle dirmelo. Faticai non poco per convincerlo a condurmi con sé al prossimo viaggio. Parve perplesso: non si sentiva troppo bene senza coda, forse vi avrebbe rinunciato, per una volta. Che figura avrebbe fatto con le lucertoline? Però, tanto insistetti e tanto pregai, che alla fine si convinse: “Tieniti pronto”, disse. Si parte a breve. Inutile dire che “non stavo nella pelle”. No: non come i miei parenti serpenti che di tanto in tanto la lasciavano davvero. Ma l’emozione era tanta che faticavo a provvedermi il cibo. Quasi non ci contavo più quanto (il sole era calato molte volte), il mio amico viaggiatore venne a chiamarmi. Giunse affannato, dicendomi che occorreva sbrigarsi, in quanto aveva visto che “l’uomo con le ruote” aveva preparato tutto. L’uomo compiva una serie di gesti quando stava per partire e vagabondo li conosceva. Dimenticai l’insetto che stavo puntando e la lucertolina che mi attendeva al sole e mi precipitati con lui. Lo ammirai mentre si arrampicava sul muretto a fianco dello strano animale con le ruote e lo seguii compiendo lo stesso tragitto per tuffarmi all’interno che appariva scuro, nel ventre della bestia che si muoveva. Facemmo appena in tempo: chiuse la bocca e restammo al buio ad attendere gli eventi. Parve eterno, anche se, dopo un poco, cominciai a lanciare in giro la mia lingua, per annusare su cosa fossi planato e mi parve un odore gradevole. Sbattei più volte le mie tre palpebre sugli occhi per abituarmi al buio e riuscii a vedere che il mio compagno si era addormentato. Beato lui. Mi trovavo a disagio: in mancanza di sole non potevo utilizzare il mio “terzo occhio”, ossia la piccola area che ho sulla superficie della testa e mi permette di seguirlo. Alla fine decisi di seguire l’esempio del mio compagno di avventure e caddi in una sorta di letargo. Molto tempo dopo, fui risvegliato proprio da lui che, avendo l’abitudine ai viaggi dell’uomo con le ruote, capì fosse venuto il momento di sgusciare fuori. Non appena la bocca della bestia si socchiuse, lui si lanciò verso la luce, subito lo segui e planai malamente su di una zona dura e scura. Non ebbi tempo neanche di rendermi conto di dove fosse, che già il mio amico mi chiamava per raggiungerlo. Non lo compresi bene, a causa del fatto che non poteva usare la coda (l’aveva ancora cortissima), però mi parve chiaro: nascondermi! Sembrò già preso da altre cose. Mi indicò il percorso per raggiungere il “mio” paradiso e precisò drastico: “domani, appena dalla testa sentirai il calore del sole, dovrai tornare qui, altrimenti non potrai più andartene.”- Andarmene? Ma chi pensava mai di farlo? Mi gettai a quattro zampe, velocissimo per raggiungere il luogo di cui mi avevano parlato gli anziani ed eccomi ancora qui.”- Bene, questa è la storia che ha raccontato a mio figlio (lui vi dirà che non è mai accaduto). Un’ultima cosa: so che mio figlio gli ha chiesto se si trovava bene nell’Italia in miniatura (il paradiso era proprio questo), ma pare che non abbia voluto rispondere. In prossimità era giunto un grosso gattone bianco e nero, per cui, dopo avere scosso la coda più volte, la lucertola si è tuffata sotto un ponticello, nell’acqua sottostante ed è scomparsa, lasciando il micio con un palmo di naso. Bianca Fasano.


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