Pubblicato il 08/06/2020 02:58:00
Sento come se la ricreazione stia per finire. E, nemmeno essendo così vecchio sia di già arrivata l'ora di rientrare in lui. Lo sento che quasi mi pare di averci al mattino nel lavarmi la faccia, le sue braccia in quel movimento che getta l'acqua sul viso : così: a palmi di mano congiunti ad incavo. E pure lo stesso sibilo pronunciato di sterno dagli anni, scoccati a freccia, di tra ciglia rade sul grande bersaglio riflesso allo specchio. Ma non si creda che, come dovuto, rientri a fine ricreazione nella sua testa piuttosto mi sento assorbito nei suoi lombi prigioniero rassegnato in un corpo non mio. Se i corpi possono anche dirsi parenti lungi da scherno si che un DNA non rinneghi l'altro, la mente no: estranea deambula nello sconcerto, foranea accennando ripulse generazionali e non solo. Del resto, come riconoscersi parenti se alieni si è a mente come figli mai nati? Quando poi, finita ricreazione, si fa luce: la risposta alla domanda sta in quelle grinze di pelle a guisa di cicatrici, sullo scroto paterno. Consapevolezza corrugata d'aver vissuto risuona tra sconosciuti che, solo alla fine, si son conosciuti. Si che, supino, stringendo convulso un pugno di terra con la campanella che mi sta risucchiando per come insiste, tra gli steli campanula dal vento scossa e riscossa, sento l'umido ed il freddo che, un giorno, mi avrà ristretto in lui come un sogno che l'abbia accompagnato in vita già morto, perchè in definitiva abortito.
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