C’è un tipo di cui non puoi dir nome,
non per colpa o per brutto malcostume,
perché, se lo pronunci nel salone,
sbuffan tutti, buttandosi nel fiume.
Chi sarà mai, quest’oscuro signore?
Forse un poeta, un filosofo austero?
No, è quel tizio che al bar fa l’attore,
del dramma infinito d’un caffè nero.
Non si sa bene da dove provenga,
forse da un luogo che il tempo cancella,
ma se appare, non v’è noia che tenga,
lento è il ritmo di ogni novella.
Parla di tutto, sa tutto di niente,
ti ferma per strada, osserva insistente,
spiega la vita con fare sapiente,
poi si confonde, sempre incoerente.
Or l’ignoto, dà consigli non chiesti,
t’insegna a guidar, cucir, far mestieri,
ma per farla breve, senza pretesti,
a casa sua, manco aggiusta i pensieri.
Così, per pietà, se n’evita il nome,
non per paura, né per gran rispetto,
ché, tra le mille parole e illusioni,
di quel tizio, nessuno ha il concetto!
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