Pubblicato il 23/07/2011 00:33:41
Senza più nome, soltanto la mostrina di riconoscimento, nell’ultimo fugace sguardo l’ombra d’inquieto tormento.
L’elmo lucente sulle brune chiome ragazzo del 99 in trincea unico tuo compagno nell’inferno di fuoco e dinamite il vento.
Urla, spari, detonazioni.
Come foglie d’autunno precarie le giovani vite.
Ordini in lingua germanica portati dalla tramontana, nell’anima il gelo d’una guerra incomprensibile ed arcana.
Lontane le canzoni alla radio nel tepore del casolare la domenica mattina, il volto puro d’adolescente sfigurato dal terrore tragica maschera deturpata dalla smorfia di dolore e odio.
Una notte senza fine.
Velata la luna, oscurate le stelle solo la luce del nemico razzo ad illuminare la trincea nell’abisso di disperata solitudine.
La minestra fredda ed insipida nelle gamelle il sapore acre della vendetta freme le ali un’altra giornata al massacro senza pietà, né fretta.
Sedici anni appena fanciullo figlio del contado, niveo fiore d’appennino.
La lettera di chiamata il pianto dell’usignolo nell’autunnale mattino.
E via, uno zaino logoro, le scarpe nuove il vestito della festa.
Tutto il paese emozionato e silente a salutarti alla stazione, l’abbraccio di chi verso il nulla va, la lacrima celata di chi resta, il bianco sventolio di fazzoletti d’addio della povera, buona gente.
E la tua fanciulla vestita elegante, un bacio affrettato di tristezza grondante.
Poi il fischio inesorabile del treno e via verso il Piave l’ecatombe di Caporetto.
Nel girone infernale insieme ai compagni verso l’inferno t’avvii con passo pensoso e grave nell’urlo della bora d’inverno.
All’orizzonte d’opale e di neve lo sbuffo della locomotiva il respiro ansante, ultima malinconica eco di vita del vaporetto.
Nell’aria l’odore della morte, non il turbine dorato e scarlatto di foglie d’autunno, il tanfo venefico dei gas nervini, la frenesia disperata dei militi fanciulli.
Battiti affrettati del cuore il profumo nel bosco silente di pini, dove si giocava ignari e felici da bambini disperati respiri, gli ultimi.
Lacrime materne di commiato dell’aurora l‘ abbraccio del cielo indaco, l’assalto dalla trincea de profundis in prima linea il bagliore della baionetta.
Già lontana ed irraggiungibile come un sogno all’alba la primavera della tua adolescenza diletta.
Un ultimo sguardo al cielo, si ode lo sparo, una folgore ti trapassa al cuore.
Cadevi nel fango esanime milite ignoto fiore scarlatto d’onore.
Finiva la tua vita nella rapsodia rachmaninoviana del giorno più lungo, funesto ed amaro nella tristezza senza fine.
Lucenti binari verso il niente la Transiberiana del soffocato dolore senza il conforto dell’ultimo bacio d’amore, senza la carezza radiosa della stella di ponente.
Terminava nella neve e nel fango la tua vita,
“due mesi dopo la guerra era finita”.
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