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Ogni lettore, quando legge, legge se stesso. L'opera dello scrittore è soltanto una specie di strumento ottico che egli offre al lettore per permettergli di discernere quello che, senza libro, non avrebbe forse visto in se stesso. (da "Il tempo ritrovato" - Marcel Proust)

L’oceano e altri giorni


Testo proposto da LaRecherche.it

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Pubblicato il 11/02/2013 12:00:00

 

“E tu, ed io,

in questo spazio immenso,

siamo mitili

o uccelli ?”

 

(T.P.)

 

 

 

DALL’ALTO

 

Guarda, alata,

il diamante inumidito del giorno,

l’enigma costante del ventre

che trattiene i suoi astri diluiti,

la muta di emerso animale

abbandonata nelle dispute del vento;

guarda il verde amuleto dei vulcani

colato dal pigmento millenario,

l’oceano destato delle selve

che fugge immobile senza arrendersi

ai nostri occhi incoronati,

i fiumi come turgidi serpenti

che scavano le carni della terra

in anse di quotidiani abbandoni;

guarda le dolci colline di lava e sabbia

sorgenti come curve bellicose

nelle aperte praterie d’olfatto verde,

le paludi intricate di giunchiglie

dove le rane tremano d’amore,

l’arcobaleno che salta dall’acqua

come un pesce inafferrabile,

curvando dove le tue mani

finalmente mi accarezzano.

Guarda il fiore rosso delle eruzioni,

la resina versata sui pendii,

villaggi accumulati agli altopiani

tuttavia precari,

le coste come anelli abbandonati

nei mutevoli approdi del pianeta,

l’orma occulta del primo raggio

che cadde sopra il mare, incendiandoci.

Guarda, alata, e sorridi;

abbiamo avuto tutto,

tutto in un solo giorno,

tutto in un solo bacio,

in una sola parola slegata;

abbiamo avuto tutto

e non lo ricordiamo,

se non per amarci

come fosse la prima volta.

 

 

 

NICARAGUA - SUL CONFINE

 

Saliva nei tuoi occhi l’estensione

di un nome che la terra tratteneva,

l’aperto calore delle acque culminate

nella leggerezza della distanza,

il fuoco trattenuto dei vulcani

che fugava dai fiori la rugiada,

l’alba riunita sulla fronte delle madri

che si immergevano nel fiume,

l’orizzonte come una nuvola strisciata

sopra la linea nuda di una goccia

e quella goccia sola

era la mia bocca che ti baciava.

Amica mia, donna d’acqua, o costiera

dove attendere un giorno senza età,

fessura nel legno tardivo

dove mesi pazienti aumentarono

il miele dell’amore a ore ed ore

nella notte impassibile del bosco;

quando torneremo, un giorno,

dove siamo già nati,

saprai che il nostro mondo

è un rovescio di medaglie,

che un tempo più perfetto non esiste

e che i ricordi sono pesci negli acquari,

che un fiore tra i capelli può volare

se i giorni custoditi non si appurano;

saprai che gli universi sono millimetri,

che il tuo nome appartiene a tutto il mondo

e che l’amore resta un dono possibile

se una forte giogaia lo sostiene.

Saprai, quel giorno, forse tutto e forse niente

e come infine ci arrendemmo

nell’acqua interminabile di un bacio.

 

 

 

LE TARTARUGHE DI JUAN

 

Pescatore pentito d’esser uomo,

stagliato d’aria densa

nell’incavo del giorno

Juan depone le sue lance arteriose,

certe liane che fissarono selci,

le rapide reti d’ingegno vegetale

che strinsero in rochi canestri

il conflitto d’argenti in movimento.

Attende l’eruzione del tramonto

sul plumbeo galoppo oceanico,

il rombo verde del fogliame

che perpetua latitudini,

il volume del colore che cade

nel pozzo nero della notte,

rivelando lingue di fuoco azzurro

nelle dimore inabitate.

Solide teste come pietre nude

di tartarughe ruminanti

affiorano a tratti dall’acqua cupa

arenandosi arrese lungo costa;

silenzioso come la sabbia

sommerge tra i flutti incendiati

il piccolo uomo Juan,

pescatore pentito o nuovo pesce,

sparisce nello strapiombo del sale

appagando le sue metamorfosi,

gravemente incorporeo vola

aggrappato al guscio cieco

delle sue immense farfalle.

Ricordo che tornerà sulla riva

con la notte nella gravida bocca

e un dono per me che sono rimasto;

dalle abissali evoluzioni

un frammento di goccia, o guscio, o stella,

che reco come amuleto notturno

dopo tanti luoghi o secondi;

ma basterà questa fragranza nuda

per l’ombra di una sola eternità?

 

 

 

COLORES (COLORI)

a un pittore costaricano

 

Dove selve brandiscono tormente

come rari vessilli di purezza

e albe ungulate sgravano

densità di pigmenti minerali

e notti assolute inghiottono

le lave stillanti del giorno;

dove coste e giungle e oceani

hanno un solo tumulto di tamburo,

la tua dimora non conosce eccezioni.

Ci confuse l’odore vegetale

delle tue astratte settimane,

il muschio negli attrezzi abbandonati

fra una tempesta e il vento,

il petalo acceso dalle tue mani

come un cuore palpitante d’innocenza;

ci sorprese l’adunca radice

della tua senilità,

il mercato vivo dei colori

stesi come spezie sull’arena,

il sussurro inverso della tua solitudine

che cresceva fino ad apprendere

l’anima segreta degli uccelli.

Così ricordo i tuoi violini fioriti,

le donne con nome di pesce,

la frutta carnale e sanguinante

da cui nasceva il movente del giorno;

e il tuo cuore esperto di tanto silenzio

che muto gridava nel declino infallibile

- ma quanto vive l’uomo, infine? -

 

 

 

EL TREN QUE NUNCA LLEGA

(IL TRENO CHE NON GIUNGE)

 

Fugge un rettile di scaglie ferrose

strisciato su rotaie interminate,

soffiando sommersi reami

che un tempo furono comete

nell’arco delle aperte praterie,

portandosi un gregge di nomi crudi

che mai appresero a parlare,

ad esser microbi delle miniere,

bestie aggiogate nelle piantagioni;

ma questo treno che non giunge,

che non parte, che più non viaggia

dove l’attendono irti ricordi

alla lotta del puro sole irreparati,

ipnotici meticci all’orizzonte

come severe statue conficcate,

donne dense con figli e polli

sulle schiene fibrose come tronchi,

bimbi che giocarono nudi,

legnose stazioni che marcirono

sotto l’acqua di secoli ellittici

e vecchi accovacciati sulle scarpe

che prestarono al vento puntuali

le loro orecchie rosicchiate

accogliendo fragori d’altre terre,

cani randagi, rugosi e insolenti,

compagni di provvisori padroni

nell’orma di binari ingurgitati,

fino a che il giorno iniquo non travagli

e nuvole inferme sciolgano

arcoiris come pesci lucidi

nell’ora dell’arbitrio quotidiano

di questo treno che non giunge,

che non parte, che più non viaggia,

che anche noi attendemmo arresi

nella moltitudine silenziosa

di questa essenziale solitudine.

 

 

 

Poesie scritte in Costa Rica all’inizio degli anni ‘90 e raccolte nel libro “L’oceano e altri giorni” del 2005.

 

 


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