“E tu, ed io,
in questo spazio immenso,
siamo mitili
o uccelli ?”
(T.P.)
DALL’ALTO
Guarda, alata,
il diamante inumidito del giorno,
l’enigma costante del ventre
che trattiene i suoi astri diluiti,
la muta di emerso animale
abbandonata nelle dispute del vento;
guarda il verde amuleto dei vulcani
colato dal pigmento millenario,
l’oceano destato delle selve
che fugge immobile senza arrendersi
ai nostri occhi incoronati,
i fiumi come turgidi serpenti
che scavano le carni della terra
in anse di quotidiani abbandoni;
guarda le dolci colline di lava e sabbia
sorgenti come curve bellicose
nelle aperte praterie d’olfatto verde,
le paludi intricate di giunchiglie
dove le rane tremano d’amore,
l’arcobaleno che salta dall’acqua
come un pesce inafferrabile,
curvando dove le tue mani
finalmente mi accarezzano.
Guarda il fiore rosso delle eruzioni,
la resina versata sui pendii,
villaggi accumulati agli altopiani
tuttavia precari,
le coste come anelli abbandonati
nei mutevoli approdi del pianeta,
l’orma occulta del primo raggio
che cadde sopra il mare, incendiandoci.
Guarda, alata, e sorridi;
abbiamo avuto tutto,
tutto in un solo giorno,
tutto in un solo bacio,
in una sola parola slegata;
abbiamo avuto tutto
e non lo ricordiamo,
se non per amarci
come fosse la prima volta.
NICARAGUA - SUL CONFINE
Saliva nei tuoi occhi l’estensione
di un nome che la terra tratteneva,
l’aperto calore delle acque culminate
nella leggerezza della distanza,
il fuoco trattenuto dei vulcani
che fugava dai fiori la rugiada,
l’alba riunita sulla fronte delle madri
che si immergevano nel fiume,
l’orizzonte come una nuvola strisciata
sopra la linea nuda di una goccia
e quella goccia sola
era la mia bocca che ti baciava.
Amica mia, donna d’acqua, o costiera
dove attendere un giorno senza età,
fessura nel legno tardivo
dove mesi pazienti aumentarono
il miele dell’amore a ore ed ore
nella notte impassibile del bosco;
quando torneremo, un giorno,
dove siamo già nati,
saprai che il nostro mondo
è un rovescio di medaglie,
che un tempo più perfetto non esiste
e che i ricordi sono pesci negli acquari,
che un fiore tra i capelli può volare
se i giorni custoditi non si appurano;
saprai che gli universi sono millimetri,
che il tuo nome appartiene a tutto il mondo
e che l’amore resta un dono possibile
se una forte giogaia lo sostiene.
Saprai, quel giorno, forse tutto e forse niente
e come infine ci arrendemmo
nell’acqua interminabile di un bacio.
LE TARTARUGHE DI JUAN
Pescatore pentito d’esser uomo,
stagliato d’aria densa
nell’incavo del giorno
Juan depone le sue lance arteriose,
certe liane che fissarono selci,
le rapide reti d’ingegno vegetale
che strinsero in rochi canestri
il conflitto d’argenti in movimento.
Attende l’eruzione del tramonto
sul plumbeo galoppo oceanico,
il rombo verde del fogliame
che perpetua latitudini,
il volume del colore che cade
nel pozzo nero della notte,
rivelando lingue di fuoco azzurro
nelle dimore inabitate.
Solide teste come pietre nude
di tartarughe ruminanti
affiorano a tratti dall’acqua cupa
arenandosi arrese lungo costa;
silenzioso come la sabbia
sommerge tra i flutti incendiati
il piccolo uomo Juan,
pescatore pentito o nuovo pesce,
sparisce nello strapiombo del sale
appagando le sue metamorfosi,
gravemente incorporeo vola
aggrappato al guscio cieco
delle sue immense farfalle.
Ricordo che tornerà sulla riva
con la notte nella gravida bocca
e un dono per me che sono rimasto;
dalle abissali evoluzioni
un frammento di goccia, o guscio, o stella,
che reco come amuleto notturno
dopo tanti luoghi o secondi;
ma basterà questa fragranza nuda
per l’ombra di una sola eternità?
COLORES (COLORI)
a un pittore costaricano
Dove selve brandiscono tormente
come rari vessilli di purezza
e albe ungulate sgravano
densità di pigmenti minerali
e notti assolute inghiottono
le lave stillanti del giorno;
dove coste e giungle e oceani
hanno un solo tumulto di tamburo,
la tua dimora non conosce eccezioni.
Ci confuse l’odore vegetale
delle tue astratte settimane,
il muschio negli attrezzi abbandonati
fra una tempesta e il vento,
il petalo acceso dalle tue mani
come un cuore palpitante d’innocenza;
ci sorprese l’adunca radice
della tua senilità,
il mercato vivo dei colori
stesi come spezie sull’arena,
il sussurro inverso della tua solitudine
che cresceva fino ad apprendere
l’anima segreta degli uccelli.
Così ricordo i tuoi violini fioriti,
le donne con nome di pesce,
la frutta carnale e sanguinante
da cui nasceva il movente del giorno;
e il tuo cuore esperto di tanto silenzio
che muto gridava nel declino infallibile
- ma quanto vive l’uomo, infine? -
EL TREN QUE NUNCA LLEGA
(IL TRENO CHE NON GIUNGE)
Fugge un rettile di scaglie ferrose
strisciato su rotaie interminate,
soffiando sommersi reami
che un tempo furono comete
nell’arco delle aperte praterie,
portandosi un gregge di nomi crudi
che mai appresero a parlare,
ad esser microbi delle miniere,
bestie aggiogate nelle piantagioni;
ma questo treno che non giunge,
che non parte, che più non viaggia
dove l’attendono irti ricordi
alla lotta del puro sole irreparati,
ipnotici meticci all’orizzonte
come severe statue conficcate,
donne dense con figli e polli
sulle schiene fibrose come tronchi,
bimbi che giocarono nudi,
legnose stazioni che marcirono
sotto l’acqua di secoli ellittici
e vecchi accovacciati sulle scarpe
che prestarono al vento puntuali
le loro orecchie rosicchiate
accogliendo fragori d’altre terre,
cani randagi, rugosi e insolenti,
compagni di provvisori padroni
nell’orma di binari ingurgitati,
fino a che il giorno iniquo non travagli
e nuvole inferme sciolgano
arcoiris come pesci lucidi
nell’ora dell’arbitrio quotidiano
di questo treno che non giunge,
che non parte, che più non viaggia,
che anche noi attendemmo arresi
nella moltitudine silenziosa
di questa essenziale solitudine.
Poesie scritte in Costa Rica all’inizio degli anni ‘90 e raccolte nel libro “L’oceano e altri giorni” del 2005.