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Via Fiorino Fiorini - Musicista


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Pubblicato il 24/03/2013 12:00:00

 

VIA FIORINO FIORINI - MUSICISTA

(caduto alle fosse ardeatine)

 

 

I.

 

Capita spesso per Roma di incontrare

tra giudici, atleti e località sconosciute,

vie che ricordano le vittime delle fosse ardeatine.

 

Eppure anche loro avevano una professione, un mestiere,

un’ora precisa al mattino e un rientro dato alla sera.

 

Ma non sono ricordati per questo.

 

Qualcuno li cercò nelle case, nelle strade,

separandoli dai loro gesti di sempre,

da quel solo pensiero per chi li attendeva.

 

Il loro nome però a volte ritorna  

insieme a qualcosa di familiare

a qualcosa che ancora risuona.

 

Al maggiore dei carabinieri Ugo De Carolis,

per esempio, è intitolata la via della Balduina

dove i miei nonni abitavano.

 

Conosco via Manfredi Azzarita   

per la vicinanza alla scuola dove ho fatto il ginnasio.

Sotto a quella collina sulla Cassia

c’è ancora un maneggio ed è curiosopensando

a quel capitano di cavalleria trucidato a vent’anni. 

 

Pure, non stride la corsa

che da quei campi si distende nel grido,

c’è un incontro tra noi e quella vita rubata,

una forza che si rivela nel salto

là dove l’oltraggio fiorisce poi nella carne.

 

Così l’abbraccio dove ora la città rivive

è anche la visione dei giorni che a loro mancarono

e targa dopo targa, quelle strade, quelle piazze,

quelle caserme, ci legano nel loro naturale scorrere

alla violazione di ciò che fummo, al tradimento

in quelle identità dell’intima sacralità del mondo.

 

Sacralità che invece a noi è stato dato di esprimere

e nei cui echi i nostri talenti si specchiano.

 

Perché non furono solo massacro quegli uomini

nel peso di un’umanità più dolente.

 

 

II.

 

Venivano da mondi diversi,

avevano un lavoro e un età diversa

in una geografia di tanti quartieri.

 

Una stele ne raccoglie cinquantasei

in Via del banco di Santo Spirito

dietro corso Vittorio, a un centinaio

di metri dal ponte degli Angeli.

 

E’ in memoria delle vittime dei rioni

Parione, Ponte, Campo Marzio e Regola.

 

Le loro occupazioni raccontano bene

nella fatica il cuore

e la vivacità di quei luoghi.

 

Componenti anche della stessa famiglia che persero

insieme la vita, passando dal lavoro alla morte.

 

Genitori, fratelli, nipoti il cui cognome,

in certi casi, fu metro per la condanna:

i Di Segni, i Di Veroli, i Limentani, i Sonnino,

per un totale di settantacinque ebrei inghiottiti

dalle cave per la sola ed errata appartenenza religiosa.

 

Ciò che mi colpisce, poi, è che ad alcuni di loro   

sono state intitolate strade lontano

dalle zone dove sono vissuti e cresciuti.

 

Tra questi l’avvocato Carlo Zaccagnini

qui ricordato, il cui nome ora si leva

a Tor de Cenci tra gli altri trucidati 

celebrati cosi nel quartiere.

 

O Enrico Mancini, ebanista della Garbatella, 

uno dei tanti non romani a legarsi per sempre

al destino della città ed ora inciso per noi 

sulla Giustiniana direzione La Storta.

 

Venivano da Valle Aurelia, San Lorenzo, Prati,

Centocelle, Tor Pignattara, Quadraro.

Furono pianti al Salario, a La Storta,

a Trastevere, Montesacro, Pietralata,Trionfale.

 

Appartenevano ad una lingua presente e chiara

nel riconoscimento e nel corpo fermo

di una stessa invariata sostanza.

 

Uomini, nella mattanza: a disperdere ogni sentenza.

 

 

III.

(elegia della Cava)

 

Di quale città siamo figli, mi domando

attraversandola; di quali fedeltà,

di quali resti che ancora ci accompagnano

 se divisione poi è parola giusta a dire

 tempo, ove sua assenza, suo disinganno.

 

Anima provata che per più aperta luce

si sparge, il respiro risalendo in un ritorno

di luoghi e volti da una irraggelata fede,

da una propria mai rigettata speranza. 

 

Rigore e amore di chi ha in sé la sua terra

e alla terra si offre, ingemmandola

di quel solo possesso: disadorno e sgombro 

fervore che nell’incontro allo scambio

ci affida, della cura spartendo l’affanno.

 

Ma ed è qui la forza o la pena

che ne rivela o ne immiserisce il mistero,

se l’ansia dal nulla trae ancora il suo miglior seme.

 

Ché seme vero è accompagnamento,

non dispersione, in affermazione

di  una comune e ricomposta rinascita.

 

Ed ora, sola a te sopravvivi mentre chi bussa

ha forse in sé la propria e la nostra salvezza,

Roma che volgi al nuovo ma che del nuovo

hai ancora lo spregio che misura i tuoi ragazzi all’offesa.

 

 

[ Nel 69° anniversario dell'Eccidio delle Fosse Ardeatine - 24 marzo 1944 ]

 

 

 

 


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