Ficco sempre un errore
in ogni cosa che faccio.
Il primo che ricordo
fu in una versione di latino
in prima media, per il resto perfetta.
Attesi che il professore terminasse
di elogiarmi davanti a tutta la classe
invidiosa – i duri si voltavano a guardarmi
lanciandomi occhiate minacciose – e poi
mi alzai con la mia copia del compito in mano,
mi diressi alla cattedra e perfezionai la mia
versione da vero pervertito facendo notare
al professore l’errore che gli era sfuggito
durante la correzione.
In seguito non mi è più capitato
che qualcuno non si accorgesse
delle mie preterizioni.
Dopo non molto gli interessati
mi agitavano in faccia il mio fallo
per meritate punizioni.
Senza accorgermene
ficco sempre un errore
in ogni cosa che faccio.
Forse sono un alieno
esiliato qui per qualche motivo
e vengo da un mondo
dove non si fanno errori
e non voglio che qualcuno
cominci a sospettare.
O forse voglio solo provare gli altri
regalandogli il biglietto vincente
che li conduca a me facendoli sentire
superiori, giudici, inquisitori.
Gli do quello che vogliono,
gli regalo una distrazione
dalla loro trave. Per un motivo
che non so ho questa specie di bontà
soave, questa voglia sadica di regali,
dono agli altri mie pagliuzze d’oro
perché le agitino davanti a me,
credendolo il mio fallo,
trasformandolo quasi sempre nel loro.
[ LaRecherche.it in ricordo di Pietro Menditto, recentemente scomparso ]