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Serie ospedaliera


Testo proposto da LaRecherche.it

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Pubblicato il 24/09/2018 12:00:00

 

[...]

 

Luce sulla tua testa cade incerta, ma

io ti vedo lo stesso; credi in me ch'io

ti veda sempre eguale.

 

La luce ora non scende più molto chiara

sulla tua fronte incerta, il suo paesaggio

è tutto mio.

 

Hai luce dorata negli occhi che sfuggendo

non possono capovolgere la tua sorte

benefatta dal mio sguardo loquace la

mattina che ti incontrai, danzando, vicino

a quel tuo capezzale.

 

Vicino a quel tuo capezzale piangeva

la madre ed ero io che ti guardavo stringere

le palpebre.

 

A singhiozzi quasi tu rinasci, con un'erba

medica in mano vorrei ricompensarti di

quella pena provai a quel tuo capezzale

danzando la mattina quando avevo sonno

delle tue palpebre pesanti che rifiutano

alzarsi alla danza.

 

Ma tu non danzi anzi ti riposi steso

sul lettino d'ospedale dove c'incontrammo

fu un baciamano cortese.

 

 

 

 

A tratti la tua testa assume un aspetto

decisamente perverso: hai nello sguardo

una luce nuova che fa sospettare nuove

caratterizzazioni del tuo male.

 

Pongo una mano nell'aria che ci separa

quasi a toccare tanta acerbità: tu non

la vedi, sei troppo toccato dal tuo male.

 

Non ritiro la mano; la lascio lì sospesa

quasi fosse un vuoto da disubbidire, e

sovente vedo cangiarsi quella tua anima

che tu detesti fare ingrandire.

 

Nulla ne nasce; resta sempre eguale quella

tua testa forbita da speciali occhiali

quasi fosse una festa quel tuo sentirti

male.

 

Indietreggio, non mi nasce alcuna nuova

voglia di incantarti; sei nel tuo male

una zebra che muove, tesa nel suo

parco.

 

Ripongo la mia mano al suo lato, vedo

specialmente risvegliarsi luci e lanterne

sul tuo volto; è tardi ormai tu non puoi

raggiungere il bene.

 

 

 

 

Parole nude sul tronco dell'albero, nuda 

vi sovrasto, pura l'intenzione, l'esegesi

non richiama altri esegeti. Basta che

esca dal tuo richiamo, la vita in corollari

non s'espone senza causa.

 

Hai fiamme nella tua bocca e sei la luna 

stessa, hai occhio nella bocca per purificare 

questo singulto, che ti chiama, con le 

lettere del nome.

 

Ho posto il tuo nome dentro un cuore 

che s'accerchia attorno un tronco, la

scorza invece tiene sempre a te, e non

ti travalica il monte.

 

Il gesto impuro sembra tocchi mete inconsulte; 

tuo nome resta allacciandosi col vuoto 

ti pongo scritto sulla scorza dura,

e mantieni il tuo voto.

 

[...]

 

 

[ da Serie Ospedaliera (1963-1965); Le poesie, Amelia Rosselli, prefazione di Giovanni Giudici, Garzanti ]

 

 


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