Il secondo romanzo di Italo Svevo, pubblicato nel 1898, segue “Una vita” di sei anni prima.
Grazie l'incitamento dell'amico Joyce, lo scrittore triestino si decise a ritentare una nuova creazione ma l'opera cadde, confessa l'autore, nel silenzio tombale.
Per questo Svevo attese altri venticinque anni prima di cimentarsi nuovamente, questa volta con “La coscienza di Zeno.”
Il titolo, come ammette l'autore, non è dei più felici.
Rispetto al precedente però, pur decollando alla metà della storia, la narrazione prende poi un certo ritmo narrativo.
Emilio Brentani, il protagonista, non agisce, galleggia.
Appartiene alla frequentatissima galleria degli inetti, come Alfonso Nitti di “Una vita” e di certi personaggi flaubertiani.
Non ci deve aspettare nessun intreccio narrativo, si tratta, come emerge subito chiaramente, di una lunga analisi introspettiva.
Caratteristica di Svevo, che viviseziona ogni atteggiamento e le incapacità comportamentali dei suoi personaggi.
Emilio inizia una specie di gioco/sfida amorosa, con la bella ma vacua Angiolina, che lo invischia ed è ovviamente incapace di decidere, di agire al riguardo.
Solo, verso la fine della storia, la tragica morte della sorella pare, almeno parzialmente, scuoterlo da quell'insopportabile limbo esistenziale.
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