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Ogni lettore, quando legge, legge se stesso. L'opera dello scrittore è soltanto una specie di strumento ottico che egli offre al lettore per permettergli di discernere quello che, senza libro, non avrebbe forse visto in se stesso. (da "Il tempo ritrovato" - Marcel Proust)

Poésie/Poesia

di Liliane Wouters 

Proposta di Loredana Savelli »

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Pubblicato il 03/09/2013 08:02:58

Poésie

Pitié pour les poètes de vingt ans
car ils ignorent ce qu’ils font
et ce qu’ils font peu de gens le comprennent.

Il leur faudra beaucoup de temps pour exprimer
le permanent malaise qui les mine,
la joie aussi, mais c’est plus rare, on écrit moins
avec des roses qu’avec des épines.

La poésie, d’ailleurs, montre-la moi.
Où donc est-elle, parmi ceux que je fréquente?
Dis-moi comment la reconnaître, à quoi?
Non, ce n’est pas cette personne languissante
qui vit sur un nuage et choisit avec soin
des mots qui ne servent à rien,
ni l’aristocratique dame remontant à pas comptés
des boulevards trop balisés,
ni ce tendron cultivant une écharde
à hauteur de poitrine, non.
De leur fade langage Dieu nous garde!
La poésie à d’autres voeux répond.

Il faut avoir un cœur à toute épreuve
un pouls d’athlète, de coureur de marathon,
être un plongeur aux profondes apnées,
un alpiniste de haut vol, un pionnier,
un aventurier à tous crins.



Carl Sandburg, un poète américain,
disait: la poésie est le journal d’un animal marin
qui vit sur terre et qui voudrait voler.

Rien d’étonnant à ce qu’on y laisse des plumes
(et quelquefois bien plus). En ai-je vus
de ces présomptueux hurluberlus
qui situaient leur Muse dans la lune.
Ils n’en sont jamais revenus.



La lune, de nos jours, a perdu son mystère.
Quelle Muse viendrait nous susurrer des vers?
On fait, dans un fauteuil, le tour de notre terre.
Peut-on encor pâlir au nom de Vancouver?

Tout ce qu’il faut porter en soi, jeunes poètes!
Que de nuits sans fortune, que de nuits avec,
que de patience dans l’azur! Et dans la tête
que de belles Minerves (Athena en grec)

Combien, combien de temps à battre le pavé
pour qu’un seul vers, soudain, jaillisse de l’attente.
Que de pluies nous devront débuer et laver
et que de froid au cul tandis que bise vente.



Pourtant, à travers tout, je t’aime, ô poésie.
Toi seule mon destin à jamais accomplit.
J’ai pu changer d’amour, d’entourage, de vie:
c’est toujours toi que j’ai retrouvée dans mon lit.

Et quand je partirai, pour peu qu’on se souvienne
de l’un ou l’autre vers, lorsque sera mon corps
bel et bien disparu dedans les souterraines
alcôves, c’est par toi que je vivrai encor.

N’ayons pas peur d’être trop grands,
de viser haut,
d’accrocher notre lyre à une étoile.
Je sais que le mot lyre est dépassé, mettons guitare,
quant aux étoiles, parler d’elles fait ringard.

S’il m’en fallait à moi, de cette poétique,
de ces grands coups de gueule, de bambou, de coeur?
Assez de vos plaquettes aux vers anémiques.
Il faut, pour me saouler, de plus fortes liqueurs.

Poétereaux prudents, à l’affût de la mode,
mais toujours en retard sur le tout dernier cri,
un sonnet de Ronsard ou de Claudel une ode
valent tellement plus que vos maigres écrits.





Jeunes poètes, si vous faites voeu
d’écrire, pesez bien cette folie.
Nul cloître ne sera plus rigoureux
que la tacite règle qui nous lie.

Plus seuls que moinillons dans leur couvent,
silence et solitude sous la bure.
Il vous faudra choisir: vivre de vent
ou faire carrière en littérature.

Tels ceux qui leur jeunesse ayant offert
à l’écriture, devenus des hommes,
bon an mal an donnent les mêmes vers
comme un pommier mûrit les mêmes pommes.




L’aréopage des vieillards laurés
assis, coudes pesant sur les buvards
où sèche l’encre de leur vie
Cette encre qui a pris la place de leur sang.

Sur les visages de papier
les jours ont tracé leur calligraphie,
les saisons jauni les dessins.

La moitié chauve, avec le crâne distingué
frappé des bosses de la connaissance,
l’autre moitié le front couvert de cendres
et presque tous portant lunettes.

Mains blanches d’intellectuels aisés,
prostates, presbyties, arthroses,
sexes en berne, faims moroses,
grands vins qu’il faudra refuser,
cœurs soumis à la trinitrine et qui soupirent
en évoquant le temps trop tôt passé
où l’on rêvait d’être Shakespeare.

***


Poesia

Pietà per i poeti di vent’anni
perché non sanno quello che fanno
e quel che fanno poca gente lo comprende.

Servirà loro molto tempo per esprimere
il disagio permanente che li mina,
la gioia, anche, ma è più rara, si scrive meno
con le rose che con le spine.

La poesia, del resto, mostramela.
Dov’è dunque, tra quelli che frequento?
Dimmi come riconoscerla, da cosa?
No, non è questa persona languida
che vive su una nuvola e sceglie con cura
parole che non servono a nulla,
né la dama aristocratica che risale a passi misurati
viali troppo circoscritti,
né questa fanciulla che coltiva una scheggia
all’altezza del petto, no.
Dio ci guardi dal loro linguaggio scialbo!
La poesia risponde ad altri voti.

Bisogna avere un cuore a prova di tutto
un polso d’atleta, da maratoneta,
essere un palombaro di profonde apnee,
un alpinista d’alta quota, un pioniere,
un avventuriero a oltranza.



Carl Sandburg, poeta americano,
diceva: la poesia è il diario di un animale marino
che vive in terraferma e vorrebbe volare.

Niente di sorprendente che ci si lascino le penne
(e talvolta ben di più). Ne ho visti
di questi presuntuosi strampalati
che collocavano la loro Musa sulla luna.
Mai più sono tornati.



La luna, ai giorni nostri, ha perduto il suo mistero.
Quale Musa verrebbe a sussurrarci versi?
Si fa, in poltrona, il giro del mondo.
Si può ancora impallidire al nome di Vancouver?

E tutto questo bisogna portarselo dentro, giovani poeti!
Che notti prive di fortuna e notti che ne sono piene, che pazienza nell’azzurro! E in testa
che belle Minerve (Atena in greco)

Quanto, quanto tempo a battere sul pavimento
perché un solo verso, all’improvviso, sgorghi dall’attesa.
Che piogge dovranno strigliarci e lavarci
e che gelo quando la tramontana va dritta al culo.



Eppure, attraverso ogni cosa, ti amo, oh, poesia.
Tu sola mio destino mai compiuto.
Ho potuto cambiare amori, compagnie, vita:
ma sei la sola che ho sempre ritrovato nel mio letto.

E quando partirò, per quel poco che ci si ricorda
dall’uno o l’altro verso, quando il mio corpo sarà
del tutto sparito nelle sotterranee
alcove, è per te che vivò ancora.

Non temiamo di essere troppo grandi,
di puntare alto,
di attaccare la lira a una stella.
So che la parola lira è obsoleta, mettiamoci chitarra,
quanto alle stelle, parlarne è da matusa.

E se a me servisse, questa poetica,
questi grandi colpi di gola, di bambù, di cuore?
Ne ho abbastanza delle vostre plaquette di versi anemici.
Ho bisogno, per inebriarmi, di liquori più forti.

Poetastri prudenti, a far la posta al mondo,
ma sempre in ritardo per il grido più estremo,
un sonetto di Ronsard o di Claudel un’ode
valgono talmente tanto più dei vostri scarni scritti.





Giovani poeti, se fate voto
di scrivere, ponderate bene questa follia.
Nessun chiostro sarà più rigoroso
della tacita regola che ci lega.

Più soli di fraticelli nel convento,
sotto il saio silenzio e solitudine.
Dovrete scegliere: tra vivere di vento
o fare carriera letteraria.

Come quelli che dopo aver offerto la loro giovinezza
in sacrificio alla scrittura, divenuti uomini, che sia
annata buona o sfortunata maturano gli stessi versi
come un melo i propri frutti.




L’aeropago dei vecchi laureati
seduti, coi gomiti pesanti su scrittoi
dove secca l’inchiostro della loro vita
L’inchiostro che gli ha rimpiazzato il sangue.

Sui visi di carta
si è impressa la calligrafia dei giorni,
le stagioni ingiallite i disegni.

Una metà è calva, con il cranio in rilievo
segnato dai bernoccoli della conoscenza,
l’altra metà con la fronte cosparsa di ceneri
e quasi tutti portano gli occhiali.

Mani bianche di agiati intellettuali,
prostate, presbiopie, artrosi,
sessi a mezz’asta, fami croniche,
vini pregiati che dovranno rifiutare,
cuori schiavi della trinitrina e che sospirano
rievocando i tempi troppo in fretta andati
in cui sognavi d’esser Shakespeare.





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a cura di Chiara de Luca)

 


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