Per i sentieri del cielo
arrivò la luna gridando
le sue chiarezze innevate
di lumache e dardi.
Nella chitarra del vento
la brezza con dita fini
cantava una canzone d’argento.
Con il suo sorriso d’arcangelo
che non si mangia le unghie,
la bambina disse ridendo
sotto il capriccio di luna:
– Io sono stata sirena una notte
di ombre vellutate.
Sopra i miei muscoli madreperlacei
potevano brillare luci di stelle.
Madrepore e coralli
tra il buio marino
piangevano le loro solitudini
dalle pupille salmastre
dei dorati delfini.
Schiene d’argento e di luna.
Sabbia delle stelle.
Cristallerie di schiume
in un mondo dove sognano
i tulipani di nebbie!
– Bambina mia, dai tuoi occhi
è molto lontano il mare.
Forse sei stata un astro luminoso;
ma sirena, mai.
– Una colombaia di tritoni
ho visto sul fondo passando.
Perchè tu neghi che sono stata
una sirena del mare?
Se neri sono i miei capelli,
là sono stati colorati
con tinta di calamaro
e ombre di notte morta;
se non sono chiari i miei occhi
è per il pianto forse:
perchè il dolore è nero
anche sul fondo del mare.
– Bambina mia è che sulle tue labbra
non c’è il sapore del sale.
Forse sei stata una stella;
ma sirena, mai.
(Traduzione di Manuel Paolino)
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