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La passione del vuoto

Racconti

Julio Monteiro Martins
Besa Editrice

Recensione di Giuliano Brenna
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Pubblicato il 27/02/2009 00:45:00

Julio Monteiro Martins è nato in Brasile ma vive in Italia e ha scritto questa raccolta di racconti in italiano, usando un linguaggio molto preciso ed elegante; tuttavia la sua scrittura ha dei piccoli nei, delle lievi imperfezioni, dovute allo scrivere in una lingua appresa, ma queste leggere imperfezioni danno, allo stesso scrivere, la bellezza e il fascino di una quasi impercettibile cadenza, regalano al lettore note di affascinante imprevedibilità.
In questa bella raccolta di racconti brevi e brevissimi, l’autore riesce a mettere a nudo vezzi e contraddizioni dell’essere italiani, riporta con stupita ammirazione frammenti di dialoghi o situazioni di casa nostra, visti con occhio estraneo, indagatore: riesce sempre a trovare il lato poetico, talvolta insondabile, anche nelle cose apparentemente più semplici o familiari. I racconti non hanno un tema portante chiaro, se non quello del frammento di viaggio, e forse proprio di viaggi immaginari si tratta. Alcuni racconti si situano in tempi o luoghi astratti, ricostruiti da frammenti di realtà e ricollocati dalla penna del Martins in dimensioni differenti. Quasi come in alcuni scritti di Borges, troviamo una specie di enciclopedia di “luoghi immaginari”, o immaginati, in cui la realtà tangibile è amplificata sino a mostrare tra le sue pieghe qualcosa di inconsulto, quasi misterioso. Spesso i luoghi sondati sono luoghi dell’anima dei protagonisti delle brevi vicende, in cui le persone sono còlte, come in una fotografia, in momenti che nell’andare delle vite possono apparire comuni, ma, immobilizzati ed analizzati, mostrano dei lati sorprendenti. Le brevi storie si svolgono a cavallo dei due mondi dell’autore, l’Italia, in particolare la Toscana, ed il Sudamerica, a volte separatamente, altre come due polarità, due luoghi tra cui le anime si muovono e ricevendo una differente luce mostrano aspetti imprevisti. In alcuni racconti viene descritto un futuro poco distante, probabile, in cui aberrazioni dell’ordinario crescono a dismisura sino a produrre mostri, apparendo talvolta come un monito di salvaguardia per le generazioni future. Spesso a serpeggiare tra le pagine del libro è la solitudine, ancestrale, quasi mostruosa, soprattutto per persone che non sanno più dove è la loro casa, oppure creata da loro stessi, mediante artifizi o chiusure mentali. Ciò che appare come elemento vivificatore per l’autore è la natura, che può salvare, attraverso un rituale magico, o restare elemento immutabile in cui la memoria si conserva, o come esempio da cui trarre insegnamento come ne “La feritoia e il volo”. Nelle pagine fa spesso capolino la morte, o la malattia, ma appare non come tragedia ma come stato del divenire, come passaggio, forse verso la natura o uno stato elementare più consono alla persona. Splendido è il racconto che apre la raccolta “Hotel Till” in cui insieme al desiderio un ragazzo scopre l’orrore, un orrore tutto umano, ancora una volta, creato dagli uomini e quasi mitigato, ma non inosservato, dalla natura. Ogni racconto è come un universo che si crea e si disfa nel volgere di poche pagine, ma non per questo appare meno concreto, o irreale, al contrario, trae la sua consistenza dalle vite di ogni giorno facendo apparire la raccolta come un osservatorio sugli animi del Mondo; un caleidoscopio di immagini e voci attraverso i continenti e il tempo. Un libro davvero molto bello, da leggere.

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