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Polimnia

Romanzo

Alessandro Cortese (Biografia)
Edizioni Saecula

Recensione di Giuliano Brenna
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Pubblicato il 07/11/2014 12:00:00

 

Di 300 Spartani, una Grecia e dei Persiani di Serse.

 

Avevo già visitato Susa e la Persia in compagnia di altri scrittori, così come ormai ho percorso in lungo e in largo la Grecia, sempre sulle pagine di molti libri che mi hanno fatto compagnia nel corso degli anni. Ora ci sono tornato facendomi guidare da Alessandro Cortese, e stavolta l’iconografia, fatta di torri dorate, palazzi movimentati da harem, eunuchi, nobili e servitori, è rimasta relegata nei miei ricordi di lettore. Certo, se Cortese scrive “Susa”, mi appare la città che piano piano e nel corso delle letture i miei occhi hanno edificato, maresta una sorta di scenario posticcio ove la mia immaginazione colloca i personaggi. In Polimnia, Susa, con il suo palazzo del Gran Re, è ricostruita attraverso sensazioni ed intenzioni di chi quei luoghi anima; è il luogo che ha la consistenza della forza, del desiderio e della determinazione, ed è quasi immateriale nella sua reale solidità, ove la forza e la sopraffazione si alimentano ed espandono. Così, anche le mura e le arene di Sparta sono scomparse nella lettura, lasciando il posto alla più stupefacente ed incorruttibile solidità della Legge spartana. Atene e la Grecia, acquisiscono la poliedrica struttura della libertà, del diritto e della democrazia. Sono i pensieri, le azioni e le tradizioni ad edificare le Nazioni di Cortese, sottraendole alla caducità del tempo e trasportandole nell’immortalità del Mito, consegnandole alla Storia coi loro abitanti, reali colonne dei loro mondi.

 

Il canovaccio narrativo sul quale Cortese va a costruire questo romanzo è quello delle guerre che la Persia ingaggiò contro l’Ellade, e in particolare il punto focale sono le giornate delle Termopili, ma viene raccontato tutto l’arco temporale che comprende i vari tentativi della Persia, capeggiata da Serse, per piegare Atene e le sue genti. Cortese narra i fatti con accuratezza notevole, gli avvenimenti ed i pensieri che li hanno originati sono scrupolosamente ricostruiti e raccontati con la precisione cui l’autore ha abituato i suoi lettori. Così come delinea i personaggi, che col tempo si sono tramutati in Eroi, ponendoceli di fronte come uomini in carne e ossa, soprattutto gli Spartani, mentre reggono gli scudi e si stringono in formazione, determinati a non indietreggiare nemmeno di un passo, si trasformano, sotto gli occhi del lettore, in Immortali.  Il linguaggio è spesso asciutto, quasi scarno, non si abbandona a ghirigori, la penna di Cortese è un bisturi che seziona pezzetti di umanità nel momento in cui costruisce la Storia, e ce li mostra al microscopio.

Il romanzo è all’apparenza una costruzione corale ma nella sostanza è un fascio di singole voci, esperienze e vite, solo dopo, col sedimentarsi degli eventi e degli anni, queste voci, saranno indissolubilmente legate in quello che possiamo definire Mito. Si tratta di storie di uomini che hanno edificato un pezzo di umanità, un ricordo collettivo che ci viene mostrato da angoli inusuali, precisi, quasi come se l’autore si fosse aggirato nei luoghi e nelle memorie portando una handycam, e restituendo alle pagine primi piani ravvicinati, fotogrammi di umanità, di coraggio, di determinazione. Gli dèi e il divino vengono spesso evocati, com’è logico che sia, ma non intervengono mai nelle cose decisive, restano più una speranza o uno sprone ad agire; qualche volta, come accade ancor oggi, un alibi per azioni nefaste, o un modo per suggestionare i deboli ed indurli a mostrare il loro lato peggiore. Quanta attualità in questo uso della divinità e della credulità. Perché se la storia narrata è fatta di persone scomparse da millenni e vive solo nei libri, le guerre tra Persiani e Greci sono ancora oggi vivissime e purtroppo esattamente attuali. La Persia vuole distruggere Atene e i Greci perché essi hanno “inventato” la libertà e l’uguaglianza, mentre Serse vuole schiacciare e soggiogare, egli è un dittatore che vuole sradicare una modalità sociale che lo mostrerebbe dalla parte sbagliata. Quanta attualità, quante vite ancora oggi falciate da questo nefasto principio. E quando la manciata di Spartani si stringe in formazione e respinge gli attacchi delle enormi armate persiane, non sono forse le genti legate dalla democrazia, che fanno della Legge la loro forza, la coesione necessaria per resistere? Verrebbe veramente da dire che si tratta dell’uomo moderno contro la barbarie, l’ordine dell’uguaglianza contro la cieca rozzezza del desiderio di mera sopraffazione. I Greci sono individui legati dall’ideale, i persiani una massa indistinta usata come una macchina, come bestie da soma di un principio perverso. E se poi i persiani riescono a bruciare e saccheggiare Atene, i greci sono ormai altrove, la loro forza non richiede – più – simboli, essa è ormai parte di loro. La vittoria fu sicuramente dei greci che per far fronte all’invasione persiana riuscirono a trovare una nuova unità, affermarono in quei frangenti – in sostanza quasi creandolo – il concetto di nazione moderna, figlia della libertà e della legge.

A lungo mi sono chiesto perché Alessandro Cortese abbia scelto per il suo romanzo di raccontare la battaglia delle porte di fuoco, ebbene, mi piace immaginare che abbia scelto questa guerra perché simbolo della lotta che ogni giorno individui o interi popoli devono sostenere per l’affermazione della propria libertà. Quanti sparuti drappelli di uguali lottano fianco a fianco stretti in formazione, legati tra loro dalla Legge e dal rispetto reciproco sfidando le masse becere che li vogliono travolgere per far tacere l’ideale della libertà? Molti, troppi, purtroppo, e il plauso va ad Alessandro Cortese per aver dato voce a tutti loro.

Il romanzo è davvero bello, avvincente e completo, narrato con precisione e sicurezza, senza fronzoli o scorciatoie, con un linguaggio molto misurato ed erudito.

 

Leggi l'intervista a Alessandro Cortese, a cura di Giuliano Brenna

 


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