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Ogni lettore, quando legge, legge se stesso. L'opera dello scrittore è soltanto una specie di strumento ottico che egli offre al lettore per permettergli di discernere quello che, senza libro, non avrebbe forse visto in se stesso. (da "Il tempo ritrovato" - Marcel Proust)

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I vecchi di Colono

Poesia

Emidio Montini
Gilgamesh Edizioni

Recensione di Gian Piero Stefanoni
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Pubblicato il 26/02/2016 12:00:00

 

L'uomo, in quanto creatura, in quanto figlio lasciato solo dal Padre, dal suo Fattore: è questo il tema, antico e doloroso insieme, di questa spinosa- e per questo apprezzabile- raccolta di Emidio Montini (all'ottava pubblicazione in versi). Senza ombre entrando subito,fin dal primo testo, nella nostalgia e nella rabbia per una caduta e una separazione inspiegabile il lettore si sente tirato dentro, o per meglio dire, raccontato lui stesso entro una terra desertica, di rovi dove nessuna rispondenza sembra esservi, o accolta dall'alto a proteggere, a riparare da un male che ci possiede e che ci fa, "ciascuno vero ciascuno solo", "prigioniero al suo livello". Il dolore di cui si nutre il testo allora è sapientemente rimesso all'interno del percorso di una parola umana, per questo insufficiente certo e criptica sovente nell'oscura difficoltà del volo, che agganci nella scossa quell'altra Parola da cui nasce, quel Verbo che era in principio e che ora appare non essere, non accadere più se non per rivelazione di fallate promesse. Dove quell'amore, di cui comunque si avverte la forma, dove quel Bene a cui si dovrebbe essere commisurati e di cui piuttosto si sente l'indifferenza se non per punizione l'ostilità? Sono questi dunque alcuni degli interrogativi più pressanti tra lamentazione e invettiva in un libro che nel crescendo della sua lotta si fa aperta, alta, contrastata preghiera (per quanto avvertita vana) a chiedere così dichiaratamente ragione al Padre di questo regno di morte e della mancanza di pane per tutto ciò che ancora va reclamando vita. "Dalla via del supplice non c'è ritorno", ci ricorda così nell'irata consapevolezza di una più facile condivisione di un abisso quotidiano a cui l'Eterno ci espone: come le citate Lia, Rachele, Sara e Rebecca anche noi chini nel fardello ad un' obbedienza terribile ("dite l'inferno/ del dominio perfetto del Padre") del cui amore però non c'è ombra sulla pelle. Eppure, proprio qui, a incalzare nel dettato non c'è benevolenza, non ci sono attenuanti per chi sulla terra, celandosi dietro le convenienze, dell'umano consesso è predatore ("tanto, nel frutteto-chi lo vede?"). Luogo centrale questo di una Storia in cui giustizia e amore sono progressivamente calpestate (i più non sanno nelle illusioni l'inganno di un secolo crudele , ci dice ) e che nella sezione omonima ha la cucitura esatta del testo. Infatti, nella risonanza del mito a cui ricorre, con chi possiamo identificare questi anziani lascivi e detentori del potere a colpire i giovani che non si piegano, e sempre più dentro un'avidità in nome di un divino che non accolgono? Siamo noi ognuno con la propria responsabilità di uomini e cittadini? La chiesa stessa, forse, arroccata dietro a un Padre ancora e sempre, ai suoi occhi, l'eterno colpevole? Montini non dice, ci lascia alle nostre interrogazioni, nella freccia però di un'Italia definita da lui terra indifferente ("lacrime tante,/amore niente"). Pure, il percorso continua, non smarrisce l'alto delle sue ombre, piuttosto le accetta compiutamente in sé rimodellandosi diversamente al Padre inchinandosi al mutevole, "Signore dell' acque-/ sterili il torto e la ragione", in invocazione sublime:"O Tu non vista radice,/o già avvenuto colloquio". Conferma dunque di un antico procedere col divino che si inerpica anche tra i sassi e le ferite dei nascondimenti e dei silenzi a noi inspiegabili, della rabbia allora e dei graffi a dire il bisogno e la paura, quando la non più cupa disperazione. Eppure, è proprio qui- ma forse, e lo sottolineiamo, è un nostro eccesso di interpretazione- il vero scarto del libro, il sorprendente e appassionato rovesciamento (che lo renderebbe esemplare ): se un'unica Croce accorda ardendo continuamente "le colpe del Padre,/le colpe del Figlio" a conferma di un redenzione non compiuta in una separazione tra i due comunque continua, Montini nel suo ritorno pare dare la connotazione di quasi di offerta, di amore all'amore mancato, nella condivisione stessa col Padre del suo eterno dolore. Su questo crinale però ci fermiamo, alte e altre le suggestioni e i richiami che andrebbero insieme, in dialogo aperto, affrontate. Aggiungiamo soltanto la doverosa sottolineatura di una lingua e di uno stile ricco, assai efficace nella difficoltà e nell'urgenza del dettato (la cui sola pecca a nostro dire è in un eccesso di aggrovigliato- più che ripetuto-livore) a conferma di un itinerario valido e assolutamente personale.

 


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